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Sin dalle prime stagioni è stato dipinto come l’allenatore del futuro, quello destinato a scrivere pagine di storia. Poi però Luciano Spalletti per anni è stato raccontato anche come un eterno incompiuto, capace di regalare un gioco splendido alle sue squadre ma anche di perdersi in un bicchier d’acqua nei momenti decisivi delle stagioni. Alla fine lo storico Scudetto dominato sulla panchina del Napoli – il primo – ha impreziosito una carriera che ora potrebbe vivere un altro privilegio concesso a pochi. È lui il primo nome per la panchina della nazionale azzurra dopo le dimissioni di Roberto Mancini. Una svolta che arriva a pochi giorni dalla rivoluzione che ha interessato Coverciano, con Mancini che aveva acquisito pieni poteri con il coordinamento di tutti i settori azzurri, dall’under 20 all’under 21 e alla prima squadra, fino ad una connessione profonda con le selezioni giovanili, da quella di Corradi (under 19) in giù. Di fatto, nessun Ct aveva mai avuto tante responsabilità quanto Mancini. Ma l’esperienza da plenipotenziario è durata solamente nove giorni.
Adesso la Figc deve scegliere il futuro di una nazionale che deve conquistare i pass per l’Europeo del 2024. Oltre al nome di Spalletti, c’è quello di Antonio Conte, mentre sullo sfondo rimangono i due ex leader in campo, Fabio Cannavaro e Daniele De Rossi, reduci però da due esperienze tutt’altro che fortunate in Serie B. Il nome preferito dei tifosi però è quello dell’ex tecnico di Napoli, Roma e Inter. Non mancano i rebus: Spalletti è disposto ad allenare una nazionale? L’azzurro potrebbe essere un compromesso. A Scudetto vinto, Spalletti ha annunciato di voler fare un passo indietro, sentendosi “stanco” e non nascondendo la volontà di stare con la famiglia. Gli impegni del Ct non sono pochi, ma sicuramente inferiori a quelli di un allenatore di club. La routine è diversa e potrebbe essere il coronamento giusto per una carriera già storica.
Inoltre, nella sua carriera Spalletti ha mostrato una duttilità tattica da università del calcio, avendo adottato qualsiasi modulo: dal 4-2-3-1 (il preferito), al 4-3-3 (quello dello Scudetto), fino anche al 3-5-2 (quello dei primi mesi della seconda esperienza romanista). E soprattutto, e non guasta mai, Spalletti non è mai entrato in collisione con il sistema nazionali. Nel 2007 quando l’azzurro restituì alla sua Roma un Panucci già malconcio al momento della convocazione, lui si limitò ad una critica costruttiva (“Servirebbe più dialogo con i medici”) e a condannare alcuni fischi rivolti dal pubblico italiano all’inno francese. “Chi fischia gli inni, non merita l’Italia”, disse, senza spingersi in altre polemiche. Per personalità, conoscenze e curriculum, ha pochi rivali per guidare la nazionale in uno dei periodi più delicati della sua storia.
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