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“Vorrei tornasse la Nazionale di tutti e che tutti gli italiani le volessero bene. Per me la maglia della Nazionale è quanto di più alto ci possa essere in uno sport ma allo stesso tempo anche quella che più resta vicina al calcio di strada”. Luciano Spalletti, dopo aver guidato l’Italia verso gli Europei del 2024, e a pochi giorni dal sorteggio della fase finale, parla in una lunga intervista con Walter Veltroni al ‘Corriere della Sera’.
“La proposta di Gravina mi ha reso un uomo felice e orgoglioso anche se ho sentito il peso enorme della responsabilità trattandosi della maglia azzurra di tutti gli italiani – dice il tecnico toscao -. Le mie scelte saranno tecniche e anche morali. Vorrò intorno a me ragazzi che ci credono, che vivano con me il morso della responsabilità, ragazzi che conoscano a memoria la storia di questa Nazionale dimostrandomi di voler entrare in quella storia, di volerci provare fino in fondo. Sarò sempre assillato dal bene della nostra Nazionale e, chi vorrà dimostrarmi di voler mettere il proprio talento al servizio della Nazionale, saprà che io sarò ai suoi piedi. Noi dobbiamo restituire all’Italia il bene che ci vuole. Far gioire un Paese intero, che si unisce e dimentica le appartenenze che separano. La maglia azzurra va desiderata prima e onorata poi come un oggetto sacro”.
Spalletti si sofferma poi sulle differenze che intravede nei calciatori di oggi rispetto alle generazioni passate: “I giovani calciatori sembrano avere meno fame, hanno troppe sicurezze. La loro formazione avviene su campi perfetti, con l’erba sintetica e le docce calde. Maradona, i filmati ce lo raccontano, si rotolava con il pallone in campi che sembravano acquitrini. C’era sofferenza, fatica, una innata cultura della sfida e del miglioramento”, sostiene il ct della Nazionale. “I panni, dopo l’allenamento, vanno lavati, devono essere ben sporchi. I ragazzi oggi mettono il loro musino in ogni banalità. Si aspettano che tutto sia dovuto, sembrano avere poca voglia di sacrifici. I ragazzi da un po’ di tempo sono ”Tutto e subito, altrimenti non è colpa mia”. Non ho timore a dire che in ogni campo e in ogni momento della formazione — un genitore, un insegnante, un allenatore — c‘è bisogno di qualcuno che li aiuti a distinguere tra mondo reale e mondo virtuale, che gli faccia respirare la carnalità, la corporeità delle paure, degli incontri, delle possibilità. È questo il modo di proteggerli e di spronarli. Hanno bisogno di dolce autorevolezza. La prima volta che sono entrato nello spogliatoio della Nazionale li ho fatti alzare in piedi e insieme abbiamo cantato l’inno d’Italia e ora abbiamo anche definito un grido di incitamento e motivazione che ci serve per sentirci uniti, vicini”, afferma.
E, restando in tema giovani, non saranno facili le scelte dell’allenatore in vista delle convocazioni per i prossimi Europei in Germania: “Non mi pongo limiti, dipende solo da quanto riusciremo a migliorare, in primo luogo dentro di noi. i sono tanti giocatori giovani che possono crescere, come Scalvini, Udogie, Scamacca e davanti abbiamo, con Retegui, Raspadori, Kean, Immobile molto più di quanto si pensi. Raspadori, ad esempio, è un ragazzo fantastico: non rinuncia a impegnarsi né in allenamento né nel preparare uno dei suoi esami universitari”. “Fammi dire anche che Chiesa è uno di quei giocatori che appartengono alla rara bellezza del calcio degli illusionisti – sostiene – Calciatori come lui fanno la fortuna degli allenatori, ti regalano soluzioni che non esistono in nessuna mia lavagna. Le qualità dei giocatori di talento sono superiori alle indicazioni che un tecnico può dare”.
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