La bellissima serata del Parco dei Principi è ancora negli occhi di tutti ed è stata una boccata d’ossigeno profonda per l’Italia. Dopo gli Europei, dopo quella debacle con la Svizzera, nuvole nerissime si erano ormai accumulate su Coverciano e sul progetto tecnico di Spalletti, il cielo però è improvvisamente tornato azzurro sugli azzurri, con il prestigioso 1-3 in casa della Francia, meritato e con alcuni lampi di grandissimo calcio, di venerdì sera a Parigi. Il miglior modo per iniziare un girone di Nations League che non è fine a se stesso come si potrebbe pensare: la competizione, oltre a mettere in palio un titolo che può pur sempre impreziosire la nostra bacheca, è anche un importante piano B per le qualificazioni ai Mondiali 2026 e dunque va tenuta in enorme considerazione.
Con questo spirito, con qualche convinzione ritrovata, ma con la consapevolezza che il percorso sia ancora lunghissimo e che bisognerà consolidare in questi mesi quanto fatto intravedere con i Bleus, la nostra Nazionale vola adesso a Budapest, dove in campo neutro per i noti fatti mediorientali c’è una rivale insidiosa come Israele ad attenderla. Una squadra da prendere con le molle, perché ha qualità e ce lo ha fatto vedere negli ultimi anni, anche se ha mancato l’accesso agli ultimi Europei. Sconfitta dal Belgio, con cui ci giocheremo probabilmente una delle prime due posizioni, venerdì sera, la nazionale dello Stato Ebraico vuole la pronta rivincita e cerca sul campo di tenere a freno le polemiche per la situazioen geopolitica.
Alla Bozsik Arena Spalletti chiede dunque concentrazione, ambizione, soprattutto personalità : ci sarà probabilmente qualche cambio di formazione, anche se è vero sempre il detto ‘squadra che vince non si cambia’. Qualcosa di nuovo si potrebbe comunque vedere: scalpita Raspadori per un attacco a due con Retegui, mentre Frattesi, di fatto il match winner, dovrebbe riposare per un acciacco fisico, stesso discorso per Calafiori. E sono pronti allora Fagioli e Buongiorno per prendere il loro posto. In ogni caso, quello che cerca il commissario tecnico azzurro è unità di intenti e un gruppo solido e interscambiabile: i nostri singoli non fanno la differenza, non abbiamo top player, e allora le vittorie vanno costruite con il gioco e con l’abitudine a giocare assieme, quello che è mancato prepotentemente a giugno in Germania.