José Mourinho, allenatore del Fenerbahce, ha rilasciato un’intervista in esclusiva al Corriere dello Sport, toccando numerosi temi, relativi alla sua esperienza in Turchia, a quella precedente di Roma e in generale alla sua intera carriera: “Non si sono mai sentito pienamente realizzato come allenatore. Voglio vincere la prossima partita. Allenare è la cosa che mi piace di più e che so fare meglio. Se ho scelto una realtà come il Fenerbahce è perché non mi va di aspettare l’opportunità ideale o il posto perfetto, e ancor meno di prendermi un anno sabbatico. Ho detto sì a un club che mi ha voluto tanto e me l’ha dimostrato fin dal primo giorno“.
“Io un grande comunicatore prima ancora che un grande allenatore? Un grande comunicatore non vince tutti i titoli più importanti del calcio. Durante la mia carriera sono cresciuto a tutti i livelli: ogni giorno imparo qualcosa di nuovo e lavoro per migliorare continuamente – ha proseguito lo Special One, che ha poi parlato della “grandezza” di un allenatore – Non risiede nella filosofia, ma nei risultati e nella carriera. Risiede nell’umanità, nel coraggio, nell’onestà e nel riuscire a dormire bene di notte, consapevole essere stato sempre indipendente intellettualmente e verticale”.
Sull’evoluzione del calcio
“Ci sono stati cambiamenti su tutti i piani e a tutti i livelli. L’allenatore, che fino a poco tempo fa era una figura fondamentale nella struttura del club, è diventato progressivamente meno importante e sempre più dipendente da strutture e personaggi il più delle volte impreparati. Var? Sono l’ultimo che può parlarne. Io voglio fare solo l’allenatore, lasciamo questi argomenti ai fenomeni del calcio. Mi riferisco agli allenatori bravi che non sanno vincere, gli esperti dei social media e gente che ha potere decisionale ma che sa di calcio come io di fisica dell’atomo. Il calcio è il regno della superficialità e dei luoghi comuni e un’etichetta non si nega a nessuno. Di solito quando la gente parla di me pensa a cosa è successo quindici, dodici, otto o dieci anni fa”.
Botta e risposta
“Cosa salvo del 2024? Il matrimonio di mia figlia: è stato un momento magnifica. E poi non butto nemmeno l’uscita dalla Roma, anche se è stata dura”.
“Crisi Guardiola al Manchester City? Solo Pep può parlare con cognizione di causa del suo caso. Il resto sono banalità”.
“La partita perfetta? Forse Porto-Lazio 4-1, semifinale Uefa 2002-2003. Loro hanno segnato dopo 50 secondi e in seguito non hanno più toccato palla. Ma anche Inter-Bayern 2-0 o Manchester-Tottenham 1-6. Infine è difficile non trovare una partita perfetta del mio Chelsea che vinse la Premier”.
“Rimpianto? Il no a Florentino Perez. Mi disse di non andare via, ma dopo tre anni di grande lotte in Spagna volevo tornare al Chelsea”.
Sulla Roma
“Dopo Budapest avrei dovuto lasciare la Roma: non l’ho fatto e ho sbagliato. Prima di andare via avevo acquisato quattro biglietti per andare a salutare i tifosi all’Olimpico. I miei assistenti mi dicevano ‘Meriti di salutare i tifosi e i tifosi meritano di salutare te. Andiamo’. Ci ho pensato qualche ora, poi ho temuto che mi avrebbero accusato di voler disturbare e io non faccio queste cose. La Roma non l’ho più vista giocare, l’Inter sì. Se tornerei a lavorare in Italia? Certo”.
Sul suo futuro
“C’è una nazionale. Voglio giocare un Europeo o un Mondiale, unire un Paese intorno alla sua nazionale nello stesso modo in cui sono riuscito tante volte con i club e i tifosi. Voglio farlo per il calcio”.