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Spagna ’82 e Germania ’06, due pagine indelebili nel libro della storia della Nazionale italiana, ma Daniele Adani in un’intervista a ‘LaPresse’ non ha dubbi su quale sia stata l’impresa più grande: “Quella del 1982, ci si è innamorati di quella storia. C’è stato un trasporto emotivo senza precedenti che ha coinvolto tutta l’Italia. Parliamo di calciatori che poi sono diventati eroi. Secondo me, non c’è più stato nulla a quel livello”. “Anche quella del 2006 era una squadra forte e anche lì non sono mancate le difficoltà, ma il gruppo era forte, ha battuto squadre forti. Il calcio, però, evolvendosi ha portato anche a un livellamento dei calciatori. Nel 1982 il Brasile era quasi ingiocabile e l’Italia ha buttato fuori i verdeoro e l’Argentina: una cosa impronosticabile”.
L’opinionista RAI si è poi soffermato sul post-Mondiale e su quanto accaduto nei decenni successivi all’interno di tutto il movimento calcistico italiano: “Come spesso accade in Italia, noi siamo bravi nel riscatto. Ci affermiamo, ma poi non siamo così lucidi, giusti e lungimiranti quando dobbiamo confermarci. Abbiamo disperso tutta quella meraviglia di cui abbiamo goduto, non siamo stati in grado di costruire dal punto di vista della programmazione e dal punto di vista economico. Ci siamo fermati lì, non siamo stati bravi a capitalizzare quel sogno. Certo, c’è stato qualche picco come il Mondiale 2006 o l’Europeo vinto con Mancini, ma il nostro movimento non ha più avuto una crescita verso l’alto. Abbiamo visto gli altri crescere“.
E oggi gli italiani si apprestano a vivere il secondo Mondiale di fila senza la propria Nazionale ai nastri di partenza: “Il movimento resta in crisi e ci vuole del tempo. Soprattutto, serve la capacità di fare autocritica per prendere strade che possano portare a soluzioni. Anziché accusare e trovare colpevoli, dovremmo migliorare in formazione e cultura. Serve pazienza, accettare che ora siamo inferiori a tante altre squadre ma non per questo barattare l’amore per il calcio calcio con il successo. Si può intraprendere un cammino anche se non si è vincenti nell’immediato. La Figc e le varie componenti dovrebbero mettersi a sedere e collaborare, lavorare con i settori giovanili e con il governo stesso per favorire la crescita di giovani talenti. Essere più leali verso le cause che opportunisti per difendere le cariche”
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