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Sinisa Mihajlovic torna a parlare e lo fa attraverso una sua autobiografia. “La partita della vita”, scritto con Andrea Di Caro, mette a nudo le verità del mister del Bologna, il quale rivive momenti belli e difficili della sua carriera. Il punto focale a cui dà maggiore importanza è il suo rapporto con il CT dell’Italia Roberto Mancini: “Il grazie più convinto lo devo a Mancini per l’inizio dell’avventura da allenatore. Accanto a lui in panchina ho capito la differenza tra guardare un partita con gli occhi di un calciatore ed osservarla con quelli dell’allenatore. Durante le azioni notavo che Mnacio non guardava le azioni come fanno tutti, ma guardava il campo, i movimenti senza palla e le posizioni, anche lontane dall’azione. Ma cosa guardi? Gli chiesi una delle prime volte credendolo distratto, e lui mi rispose che stava guardando tutto il resto ed è quello che si deve fare”.
Poi Mihajlovic torna a parlare della sua esperienza milanista e che Mancini non la prese proprio bene: “Non ho sentito il suo affetto quando sono approdato al Milan , come se non avesse piacere a dividere la scena nella stessa città su sponde opposte. Conosco Roberto e la sua concezione dell’amicizia, della tribù, di cui vuole essere il capo”. Infine però lo riscatta nell’inevitabile capitolo malattia: “E’ stato il primo a venirmi a trovare all’ospedale. L’ho visto entrare a sorpresa nella mia stanza con camice cappellino e mascherina e in quel suo ‘ciao Sinisa’ ho ritrovato la voce del ragazzo scapigliato, nato leader, che accolse a Genova nel 1994″.
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