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È il 18 agosto 1995, sin da subito si capisce che questa data sta per segnare per sempre la storia del calcio. In una calda e afosa notte di San Siro entra in campo lui, originario di Utrecht, classe 1964, che in seguito ad una carriera martoriata dagli infortuni decide di farla ufficialmente finita col calcio giocato, a 31 anni ancora non compiuti. Fabio Capello, conosciuto per il suo carattere da sergente, si commuove, consapevole che in campo non ci sarà mai più un giocatore simile. Ma come può Fabio Capello scomodarsi in quel modo? Semplice, perché l’uomo che si è appena ritirato si chiama Marco van Basten, l’uomo che più di tutti ha elevato il gol a massima forma d’arte.
Marco è un giocatore che mai si è visto nella storia del calcio: un fisico da 80 kg distribuiti in 1,88 metri di altezza, col baricentro alto. È impossibile che un giocatore simile possa rappresentare al meglio il gol in una forma d’arte, eppure Marco ci riesce perfettamente. Assistere ai suoi movimenti equivale ad ammirare uno spettacolo di danza classica, che sinuosamente si impone sul palco, ammaliando le platee. Che sia un apparentemente banale gol a porta vuota, un colpo di testa, oppure dei gesti più spericolati come una rovesciata o un tiro al volo, poco importa, con Marco quel gesto tecnico, anche il più semplice, diventerà una massima forma d’arte, che mai si è vista e che probabilmente mai si rivedrà.
Marco non solo sembra non essere un giocatore di una simile eleganza, viste le sue caratteristiche fisiche, ma il suo corpo non è predisposto nemmeno per giocare a calcio. Infatti, i suoi muscoli si allungano facilmente e, secondo il medico che lo ha in cura sin da ragazzino, se intraprende la carriera calcistica, rischia seriamente di finire in sedia a rotelle. Questo è il monito, ma Marco non si arrende ed è qui che inizia probabilmente la leggenda di van Basten, il cigno di Utrecht, pronto come non mai a dire la sua nel mondo del calcio, lasciando un segno indelebile in questo sport.
La carriera di Marco van Basten inizia in punta di piedi, il 3 aprile 1983, quando entra al posto di Johan Cruijff, uno dei calciatori più forti di sempre, debuttando con la divisa dell’Ajax, contro il NEC Nimegen. Si sta dunque assistendo ad un passaggio illustre di testimone, in un debutto che vede questo ragazzino di Utrecht segnare subito. Il giovane van Basten cresce sotto l’ala protettiva del Profeta del gol, che però si trasferisce agli acerrimi rivali del Feyenoord nella stagione 1983-1984. Il Feyenoord vince il campionato, trascinato da un Cruijff ormai prossimo al ritiro, ma van Basten, nel mentre, si sta prendendo la scena ad Amsterdam, e conclude quella stagione con un bottino da 28 gol in 26 partite, segnando una tripletta storica proprio contro i rivali di Rotterdam, in un secco e sonoro 8 a 2. Cruijff va dunque negli spogliatoi dell’Ajax, dicendogli: “Visto che avevo ragione? E adesso non fermarti, puoi arrivare dove vuoi”. Un autentico predestinato sta per scrivere delle pagine indelebili nella storia del calcio.
Marco prosegue con la sua straordinaria vena realizzativa, vincendo il titolo di capocannoniere dell’Eredivisie per quattro volte consecutive, dal 1984 al 1987, andando a segno per ben 128 volte in 133 partite e contribuendo in modo assoluto alla vittoria di tre campionati olandesi.
Le prodezze di van Basten entrano nella leggenda, segna in ogni modo possibile, realizza 6 gol allo Sparta Rotterdam, segna una rovesciata leggendaria contro il Den Bosch nella stagione 1986-1987 – coordinandosi con un movimento leggiadro quanto potente dal punto di vista visivo, scagliando la palla sotto l’incrocio –.
La sua miglior stagione in Eredivisie, dal punto di vista realizzativo, è la stagione 1985-1986, in cui van Basten arriva a ben 37 gol in 26 partite in campionato, una cifra esorbitante che gli permette di vincere la Scarpa d’Oro nello stesso anno.
Nel 1986, però, avviene qualcosa che segna una parte significativa della carriera di Marco: in seguito ad uno scontro di gioco con Olde Riekerink del Groningen, si infortuna alla caviglia sinistra. Un infortunio che, come sappiamo bene, non sarà l’ultimo, e che farà da apripista per il calvario che segnerà la carriera del Cigno di Utrecht.
L’ultima stagione all’Ajax vede i Lancieri vincere la Coppa delle Coppe, con van Basten capitano e trascinatore verso il successo, guidato in panchina da Johan Cruijff, nel più classico dei ritorni. La finale si gioca ad Atene, il 13 maggio 1987, contro il Lokomotive Lipsia, e già si sa che quella sarà l’ultima partita di van Basten con la divisa dell’Ajax. Infatti, Silvio Berlusconi, il nuovo presidente del Milan, si è già accordato con Marco per il trasferimento in rossonero, per attuare un progetto di rinascita della società milanese dopo che già nel 1986 aveva rischiato il fallimento. van Basten quindi risolve la finale, segnando, con un perentorio colpo di testa, il gol che sblocca la gara, consegnando la Coppa all’Ajax. van Basten conclude quindi l’esperienza con i Godenzonen dopo aver vinto tre campionati, tre Coppe d’Olanda e una Coppa delle Coppe e dopo aver realizzato ben 152 gol in 172 partite.
Inizia la danza del cigno a Milano, inizia la seconda parte della carriera di van Basten, che lo porterà alla definitiva consacrazione.
Marco si presenta molto bene nel campionato italiano, segnando 5 gol nelle prime 5 partite di Coppa Italia, oltre che segnare il primo gol in Serie A su rigore contro il Pisa, con la sua rincorsa caratteristica, ovvero il saltino prima di battere a rete.
Il Milan è una squadra incredibile, costruita da Silvio Berlusconi per vincere in Italia ma anche in Europa e nel Mondo, potendo vantare di giocatori del calibro di Franco Baresi, Alessandro Costacurta, Paolo Maldini, Roberto Donadoni, Carlo Ancelotti e, soprattutto, Ruud Gullit, trequartista poderoso del PSV acquistato nello stesso anno di van Basten, che vincerà il Pallone d’Oro proprio in quell’anno.
Il Milan sembra dunque lanciato verso grandi successi, guidato da Arrigo Sacchi, ma una sconfitta casalinga contro la Fiorentina sembra riscrivere gli scenari. Arrivano dunque i primi problemi per il Milan e, soprattutto, per Marco: l’11 ottobre 1987, a Marassi, si ferma. Quella caviglia, quella dannata caviglia vacilla ancora. Si pensa che Marco non tornerà più a danzare, viene operato, ma il chirurgo che lo ha in cura afferma che quella caviglia sia “la tomba dell’ortopedico”. Si teme dunque il peggio.
Arriva però il giorno della rinascita, Marco torna in campo contro l’Empoli, il 10 aprile 1988. La partita è bloccata sullo 0 a 0 e solo un guizzo significativo può risolvere una pratica complessa per un Milan lanciato verso una rimonta storica. Marco, subentrato dalla panchina, con una finta di corpo lascia sul posto il diretto marcatore e va a scagliare la palla sul secondo palo, alla destra del portiere, regalando la vittoria ai rossoneri.
La marcia trionfale del Milan verso la clamorosa rimonta sul Napoli di Maradona può dunque proseguire, e si conclude con il sorpasso alla ventottesima giornata, in cui il Milan di Sacchi impartisce un’autentica lezione di calcio ai partenopei, nello scontro diretto, vincendo 3 a 2. A segnare il momentaneo 3 a 1 è proprio Marco, sfruttando una memorabile discesa di Gullit sulla fascia e segnando il più facile dei gol a porta vuota. Il Milan, quindi, due settimane dopo, può ufficialmente cucire lo scudetto sul proprio petto, l’undicesimo della sua storia, nove anni dopo la sua ultima volta e a sei anni di distanza dalla retrocessione del 1982. Mica male per una squadra che due anni prima rischiava seriamente il fallimento, ma che adesso può vantare una rosa straordinaria e che sta per mostrare il suo maggior talento in ripresa da quel terribile infortunio che sembrava stroncargli la carriera a soli 23 anni.
Arrivano dunque gli Europei in Germania e Marco è deciso più che mai a prendersi la scena. L’avventura degli Orange di Rinus Michels non inizia nel migliore dei modi, con una sconfitta contro l’URSS di Lobanovskij, ma il girone viene passato ugualmente, grazie alle vittorie su Inghilterra ed Irlanda. In particolare, la sfida contro gli inglesi vede una tripletta di van Basten, ma dei tre gol in particolar modo ad ammaliare tutti fu sicuramente il primo: riceve palla da Gullit, la stoppa, con una meravigliosa piroetta si gira e di sinistro, anticipando la morsa dei centrali inglesi, calcia sul secondo palo, bruciando anzitempo il malcapitato portiere avversario. Una tripletta memorabile che mette in luce tutto il suo repertorio tecnico.
In semifinale c’è la Germania Ovest, nella classica sfida tra due rivali storiche del calcio europeo. I tedeschi passano in vantaggio con Lothar Matthäus su rigore, ma l’Olanda non intende arrendersi e trova il pareggio, grazie ad un rigore procurato da van Basten e trasformato da Ronald Koeman. In una delle sfide più avvincenti della storia degli Europei, arriva il gol che porta alla finale per gli Orange e a segnarlo è, manco a dirlo, van Basten, che con uno scatto in profondità fa secco Köhler, per poi incrociare in spaccata il gol vittoria.
Arriviamo dunque all’appuntamento finale: è il 25 giugno, ad affrontare l’Olanda è l’URSS, per la seconda volta nella manifestazione, ma questa volta non c’è proprio storia. Su calcio piazzato van Basten fa da sponda per Gullit che di testa, indisturbato, non può fare altro che regalare il vantaggio olandese. Ma il meglio deve ancora arrivare, ancora deve essere scritta per davvero la storia del calcio in modo indelebile, non è ancora stato fatto nulla. Arriviamo dunque all’evento che sembra spingere il mondo del calcio in una dimensione mai esplorata prima, una forma d’arte che difficilmente si potrà ripetere. Muhren scende sulla fascia e crossa di prima, ma il suo cross è sbilenco. Vedendo uno di quei cross, difficilmente ti viene da pensare “Adesso verrà sfruttato per segnare”, non si sono però fatti i conti con uno dei più grandi artisti della storia del calcio, che va incontro alla palla, pur essendo defilato e marcato. Decide dunque di provarci. Non se ne parla di stoppare di prima o di considerare morta quell’azione. Marco si coordina, al volo, e con un tiro meraviglioso scavalca il difensore, la palla scende e plana sul secondo palo, insaccandosi in rete, in uno di quei momenti in cui il tempo sembra realmente fermarsi a contemplare un qualcosa di mai visto. Rinus Michels, nonostante sia un generale duro e apparentemente incapace di provare una qualsivoglia tipologia di emozione, si mette le mani nei capelli. Nemmeno lui ci crede. L’Olanda può dunque sollevare al cielo il primo titolo ufficiale della sua storia, e deve ringraziare soprattutto Marco van Basten, autore di 5 gol in 5 partite, che lo rendono il capocannoniere della manifestazione. È il preludio verso il primo grande alloro individuale della sua carriera, il Pallone d’Oro che arriverà da lì a breve.
Inizia la nuova stagione per il Milan, che su segnalazione di van Basten decide di acquistare un altro fuoriclasse olandese, Frank Rijkaard, centrocampista dell’Ajax, andando a formare il celebre trio olandese insieme a Ruud e Marco, che segnerà in modo indelebile la storia del calcio.
Il cigno mette la firma anche nella vittoria della prima storica edizione della Supercoppa Italiana contro la Sampdoria, segna 19 gol in 33 partite in Serie A ma è soprattutto il versante internazionale a consacrarlo ulteriormente alla leggenda. Infatti, nel suo cammino van Basten segna a grappoli, contribuendo da protagonista assoluto nella cavalcata trionfale del Milan, che vede i rossoneri battere in successione Vitoša Sofia, Stella Rossa e Werder Brema.
In semifinale, il Milan affronta il Real Madrid. All’andata viene annullato un gol regolare di Gullit e la partita sembra essere ancora più in salita quando il Real Madrid passa in vantaggio con Hugo Sánchez. Il Milan però non si arrende e inizia a produrre ancora il suo gioco. Chi può mai risolvere questa pratica, se non Marco? Tassotti avanza sulla fascia destra e crossa – malissimo –, van Basten è sbilanciato in avanti col corpo, con una palla tesa, e col diretto marcatore a braccarlo. Decide quindi di gettarsi e di colpire di testa quel cross teso, nonostante si trovi oltretutto ad una distanza proibitiva anche solo per inquadrare la porta. Eppure, Marco, non solo inquadra la porta, ma segna: quella palla si scaglia come un missile sotto la traversa, per poi rimbalzare contro la spalla del portiere ed entrare in porta. Ma il gol resta simbolicamente suo per il gesto tecnico insensato messo in atto.
Al ritorno non c’è proprio storia: van Basten, Gullit, Ancelotti, Rijkaard e Donadoni impartiscono una lezione di calcio senza precedenti ai malcapitati Blancos, 5-0. Il gol di van Basten è stupendo: in un amen stoppa la palla di destro, si gira e di sinistro la scaglia sotto l’incrocio.
Quel Milan è inarrestabile, nessuno può fermarlo e la finale contro la Steaua Bucarest, il 24 maggio 1989, a Barcellona, non può che essere una formalità. Due gol di Gullit e due gol di van Basten – che segna di testa e di sinistro ad incrociare – e i rumeni possono solo inchinarsi alla forza del diavolo rossonero, che vince la terza Coppa dei Campioni della sua storia, un titolo che mancava da 20 anni, e deve ringraziare soprattutto Marco van Basten, con i suoi 9 gol in 9 partite – 10 se si considera il gol “dubbio” nell’andata contro il Real Madrid –.
Nello stesso anno vincerà la Supercoppa UEFA contro il Barcellona e la Coppa Intercontinentale contro l’Atlético Nacional. Non c’è storia, van Basten vince il secondo Pallone d’Oro consecutivo della sua carriera.
La stagione 1989-1990 non inizia però benissimo per il cigno, a causa di un infortunio che gli fa saltare le prime partite. Poco male, ritorna e segna 19 gol in 26 partite in campionato, consacrandosi capocannoniere della Serie A per la prima volta in carriera e trascinando il Milan ad un passo dallo scudetto contro il Napoli di Maradona. Ma la disfatta di Verona, nella quale lo stesso van Basten viene espulso, stronca sul nascere i sogni di scudetto dei rossoneri.
Marco è comunque uno dei trascinatori del Milan verso la seconda cavalcata trionfale europea consecutiva, segnando 3 gol in 7 partite, un bottino decisamente più esiguo rispetto alla stagione precedente, ma non manca mai negli appuntamenti decisivi, soprattutto quando ai quarti di finale, in una partita in cui Preud’homme appare veramente insuperabile, è lui a sbloccare la partita contro il Malines. In finale, questa volta, a Vienna, il 23 maggio 1990, c’è l’appuntamento decisivo contro il Benfica. A risolvere la finale è l’assist decisivo di van Basten per l’imbucata di Rijkaard, che regala la seconda Coppa dei Campioni consecutiva al Milan. Seguiranno, come da consuetudine, la Supercoppa UEFA e la Coppa Intercontinentale. In particolare, è da segnalare la performance monumentale contro l’Olimpia in finale di Coppa Intercontinentale, una partita che lo vede come migliore in campo pur senza segnare, regalando uno spettacolo assolutamente unico che lo vede mettere lo zampino in due dei tre gol segnati dal Milan. Il gol del 3 a 0, in particolar modo, sfiora il capolavoro con un cucchiaio prelibatissimo, colpendo il palo prima che Rijkaard possa correggere in porta. Una giocata da indiscusso Fuoriclasse, che nelle serate che contavano difficilmente non lasciava il segno.
Al Mondiale del 1990, però, le cose vanno male per Marco e compagni: i gravi disordini di spogliatoio fanno passare il girone all’Olanda senza mai brillare per davvero e Marco lascia in campo delle prestazioni incolori. Gli orange vengono dunque eliminati agli ottavi, in una specie di rivincita, contro la Germania Ovest di Matthaus, Klinsmann e Brehme.
Anche la stagione 1990-1991 non inizia per nulla bene per il Milan, con van Basten che segna solo 11 gol in campionato, Arrigo Sacchi non può più ricreare quella corazzata inarrestabile, che si ferma contro il Marsiglia ai quarti di finale di Coppa dei Campioni, con le polemiche di Galliani per un riflettore rotto, che porteranno alla squalifica del Milan dalle competizioni europee per un anno, in quanto il Milan si era letteralmente rifiutato di rientrare in campo dopo quel guasto.
Ormai è chiaro che il ciclo di Sacchi è bello che finito, arriva dunque Fabio Capello, che porta il Milan a vette siderali nella stagione 1991-1992, vincendo il campionato da imbattuto, mai nessuno nella storia del campionato italiano c’era riuscito fino ad allora – anche il Perugia nel 1978-1979 era rimasto imbattuto, ma non aveva vinto lo scudetto –. Marco viaggia a medie realizzative impressionanti e con 25 gol in 31 partite si laurea nuovamente capocannoniere della Serie A, firmando delle prodezze straordinarie che ormai sono un’abitudine con lui. Resta nella storia il gol contro il Bari, su punizione, una tipologia di gol mai testata dal cigno, che non poteva di certo venire a mancare in questo fondamentale.
In nazionale arriva una nuova delusione, questa volta agli Europei del 1992, persi in semifinale contro la Danimarca ai rigori, con lo stesso Marco che sbaglia il suo rigore, vedendoselo da Peter Schmeichel, poi eroe della Danimarca che giungerà all’alloro europeo contro la Germania.
Marco ormai è consumato dagli infortuni, vince il Pallone d’Oro, il terzo della sua carriera, ma gli infortuni lo stanno pian piano sgretolando, nonostante riesca a segnare 20 gol in 22 partite nella stagione 1992-1993, segnando un poker storico al Goteborg – il primo della storia della Champions League da quando la Coppa dei Campioni tiene questo nome – di cui uno con una leggendaria rovesciata che rappresenta al meglio l’ultimo canto del cigno, che ormai sta per lasciare la scena.
Arriva lo stop, l’ennesimo, con una parentesi infelice nella finale persa contro il Marsiglia. Ormai non si regge più in piedi e mentre il Milan domina in Europa e nel Mondo nel 1993-1994, van Basten è irrimediabilmente sotto i ferri, nella speranza, fino alla fine, di riprendersi da questo lungo calvario di operazioni. Due anni infernali, ma ormai è la fine.
E torniamo dunque da dove siamo partiti con la favola del cigno, da quel maledetto 17 agosto 1995, che segna la fine della sua carriera e il suo ritiro dal calcio giocato, tra le lacrime di chi l’ha vissuto e di chi non lo vedrà mai più calcare il rettangolo verde. Lascia dunque il calcio giocato colui che meglio di chiunque altro ha elevato il gol alla massima forma di arte, lascia il calcio giocato un pittore di quelli che nella storia di questo straordinario sport mai si erano visti e che probabilmente mai si rivedranno, colui che, pur consapevole dei suoi limiti fisici, ha voluto sfidarli, per ammaliarci con delle prodezze mai viste nella storia del calcio.
Lasciava dunque il calcio giocato il cigno di Utrecht, Marco van Basten.
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