Roberto Mancini, intervistato da Walter Veltroni per il Corriere dello Sport, parla del suo passato da giocatore, presente da allenatore e sui suoi obiettivi per il futuro.
L’ex allenatore dell’Inter racconta della sua infanzia parlando dei suoi genitori “Mia mamma all’inizio studiava e poi ha fatto l’infermiera e mio papà il falegname” e di dove ha iniziato a giocare a calcio “Abitavo vicino all’oratorio e quindi ho iniziato per strada, dopo la scuola”. Un Mancini bambino che ogni anno a Babbo Natale chiedeva: “Un paio di scarpe nuove e un pallone da calcio. Quelle erano le cose, le uniche cose che sinceramente mi interessavano” e che tifava: “Di che squadra ero? Della Juventus“ e aveva come idolo Bettega.
Roberto Mancini, in questa intervista, ripercorre il suo percorso da giocatore: “Ho iniziato a giocare con la squadra della parrocchia, l’Aurora Jesi, e di lì ho fatto tutta la trafila pulcini, giovanissimi. Qualche volta mi portavano con la squadra dei più grandi viste le mie qualità.” E poi il passaggio al Bologna: “Mia mamma un giorno doveva andare in città dal dentista e mio padre, tramite un amico, si organizzò per andare quando c’erano i provini. Organizzarono tutto senza dire nulla a mia mamma, tutto in segreto. Lasciammo mia mamma dal dentista ed io, mio papà e il suo amico andammo a Casteldebole, per fare il provino”.
Dolci i ricordi di quel giorno: “C’erano campi bellissimi. Mi sembravano un sogno. C’erano tanti ragazzi, fecero le squadre e mi misero in attacco. Come da consiglio di mio padre però tornai indietro a prendere palloni a centrocampo. Mi sembrava di stare facendo bene ma, alla fine del primo tempo, mi tolsero subito dal campo perchè avevano paura che ci fosse qualche altro osservatore e quindi potesse acquistarmi lui.” Qualche attimo di paura, ma poi: “Mi spaventai, pensavo di non essere andato bene. Invece alla fine della partita ci chiamarono e ci dissero <<A noi interessi>>. Poco dopo mi chiamarono per andare a Bologna dove andai a vivere in centro con altri ragazzi. Ero molto amico di Macina e perciò eravamo sempre insieme”.
Non è stata facile all’inizio: “Mi ricordo che avevo l’emozione, la gioia di andare in una squadra di calcio vera però allo stesso tempo avevo anche la paura di lasciare i miei genitori. I primi mesi furono duri“.
L’esordio a 16 anni e nove mesi in serie A fu un altro giorno emozionante: “Burgnich mi fece debuttare a quindici minuti dalla fine, nella prima partita di campionato. Io dovevo giocare con gli allievi quel weekend e invece ero lì. Una delle emozioni più belle che abbia mai vissuto”. Speciale il rapporto con Burgnich: “Ho un’ammirazione enorme per lui” e anche con gli allenatori venuti dopo: “Boskov ed Eriksson quelli da cui ho appreso di più. Con Boskov ci sono stati tanti episodi divertenti, uno li avrebbe potuti scrivere tutti e sarebbe uscito fuori un libro comico di 200 pagine”.
La più grande delusione da calciatore? “La sconfitta più pesante è stata quella in finale di Coppa Campioni con il Barcellona. Non ho mai rivisto la partita perché fu una delusione troppo cocente.” E Vialli? “Eravamo di carattere opposto, per quello andavamo d’accordo”.
L’addio alla Samp è stato doloroso ma i rapporti con il figlio di Mantovani non erano dei migliori e così si trovò a Roma dove all’inizio andò male ma piano piano migliorò. Poi dopo la Lazio la carriera si è chiusa con il Leicester: “Eriksson un giorno mi chiamò e mi disse che il suo secondo all’Inghilterra allenava il Leicester e mi voleva e io andai”.
Tanti i difensori affrontati ma Mancini ricorda: “Il difensore più forte? Giocava con me, Pietro Vierchowod. Ma ce ne erano di difensori forti in Italia all’epoca, Baresi, Maldini”. E il gol più bello che ha fatto da giocatore? “Io sono affezionato a due gol. Quello di tacco a Parma e un gol al volo a Napoli quando con la Samp vincemmo lo scudetto Vincemmo 4 a 1 con il Napoli di Maradona”.
E ora il presente, cosa c’è di bello nell’allenare? “Il bello è che si può continuare a stare su un campo di calcio, avere tutti i giorni un pallone tra i piedi, poter insegnare a questi giocatori quello che uno ha imparato nella propria vita.” E l’esperienza più bella da allenatore? “L’ Inghilterra è stata una bellissima esperienza: le partite sono divertenti, le squadre non pensano a difendersi perché tatticamente non sono così evolute.” Lì ha avuto anche Balotelli: “Bravissimo ragazzo, un ragazzo dal cuore d’oro, aveva grandi qualità quando ha debuttato. Poi non so cosa è successo, è stato un dispiacere”.
Ora Mancini vuole tornare ad allenare: “Mi manca molto il campo, non è facile star fermo ma aspetto la fine della stagione”. In Italia o all’estero? “Vediamo quello che accadrà, romanticamente parlando vorrei allenare la Nazionale”.
Il più forte del mondo oggi? “Messi” e tra i giovani italiani? “Berardi, Bernardeschi, Chiesa, Donnarumma, Locatelli. Tempo un paio di anni e credo possa venir fuori una buona Nazionale”.
La conclusione dell’intervista è rivolta a come l’allenatore spiegherebbe il calcio ad un bambino: “Il calcio è fantasia. Il calcio è come la vita. Bisogna essere educati. Ci sono delle regole da rispettare. Il calcio è una fortuna e chi la possiede deve giocare e divertirsi”.