Calcio

Dalla Lodigiani a Berlino: la magnifica avventura di Luca Toni, numero uno dei bomber

Luca Toni - Foto Tsutomu Takasu CC BY 2.0

Dalla Borghesiana a Berlino. Quando si parla di Luca Toni, che contro la Juve giocherà l’ultima gara della sua carriera, si deve partire sempre dalla periferia romana e da quei campi sulla Casilina, che negli anni ’90 erano il quartier generale della Lodigiani. È con la terza squadra della capitale che nella stagione ’98-99 quell’attaccante emiliano alto, dinoccolato, che non sembrava adatto per il calcio, smise di essere “Giandone” e spiccò il volo che lo avrebbe portato ad alzare la coppa del Mondo in una notte berlinese del 2006. “Giandone” del mondo grazie a un allenatore aquilano, Guido Attardi. Fu lui che dopo i flop a Empoli con Spalletti e a Fiorenzuola, lo aiutò a correggere i difetti e a tirar fuori il meglio del suo repertorio.

Erano gli anni d’oro della Lodigiani che qualche anno prima aveva sfiorato la promozione in B. Sulle tribune del Flaminio ogni sabato romanisti e laziali si trovavano a tifare insieme per Matticari, Stellone e Di Michele. Nell’anno di Toni la squadra di Attardi, che poteva contare anche sull’ex granata Sgrigna e l’ex livornese Vigiani, giocava al Tre Fontane dove Zeman, allora sulla panchina della Roma, studiò a lungo quel pennellone con la coda di cavallo (già fidanzato con l’attuale moglie Marta Cecchetto) ma non lo ritenne ancora pronto per il grande calcio. A puntare forte su Toni fu il ds della Lodigiani Sagramola che lo volle con sé a Vicenza.

Attaccante atipico, il bomber di Pavullo nel Frignano ha imparato ad usare meglio il fisico con Mazzone al Brescia quando realizzò 13 gol in 28 partite. Gomiti alti e duelli rusticani con i difensori: dai grovigli lacoontici in area di rigore spesso usciva vincitore quel gigante che agli inizi segnava più di piede che di testa. Se a Palermo, in serie B, fece gol a ripetizione e brevettò la famosa esultanza con la mano che ruota intorno all’orecchio, con la Fiorentina arrivò a far meglio di Hamrin e Batistuta. Prima del vittorioso Mondiale 2006 “Toni e furmini”, come da vulgata fiesolana, si issò sul trono dei bomber con 31 gol mentre i vari Gilardino, Inzaghi, Del Piero, Totti andavano tutti in doppia cifra.

Sono passati dieci anni e di quella generazione di fenomeni in Nazionale restano solo Buffon, De Rossi e forse Pirlo. Non c’è un centravanti italiano che giochi titolare in una grande squadra ma soprattutto non c’è un attaccante eleggibile per la Nazionale che segni almeno 15 gol. Luca Toni è stato il primo italiano a vincere la classifica marcatori con due squadre diverse (Fiorentina e Verona) e l’unico italiano a diventare re dei bomber con più di 30 reti.

Dalla serie A al Bayern Monaco, sempre con la stessa semplicità disarmante nel trovare la via del gol. Il titolo di capocannoniere della Bundesliga, la vittoria del campionato e della Coppa Uefa e il video tormentone del cantante Matze Knop: “Luca Toni sei per me, numero uno”. Se con Hitzfeld c’era una intesa d’acciaio, qualche problemino in più Toni lo ebbe con Van Gaal. Si racconta che il guru olandese durante una riunione si abbassò i pantaloni davanti a tutti urlando: «Io ho le palle e non ho paura di sostituire nessuno».

Le polemiche con Delneri non oscurano il finale di partita, e di carriera, dell’attaccante che battezzò con un suo gol il nuovo “Juventus Stadium”. Il suo più grande rimpianto resta lo scudetto sfiorato con Ranieri alla Roma. La sua giocata più bella? Quando a chi gli chiese come mai fosse arrivato tardi al grande calcio replicò di non essersi mai sentito un talento incompreso: “Se sono arrivato tardi, forse è giusto così, non ero pronto”. Attardi ci aveva visto lungo ma anche quel tipo improbabile del video non sbagliava: “Luca Toni, numero uno” dei bomber.

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