Calcio

Lionello Manfredonia: “Dopo il malore tre giorni di coma. In carcere per le scommesse, poi tornai a studiare”

Lionello Manfredonia
Lionello Manfredonia - Foto Fotogramma/Brescia

Intervistato dal Corriere della Sera, l’ex calciatore Lionello Manfredonia ha ripercorso le fasi salienti della sua carriera dentro e fuori dal campo. Difensore solido ed eclettico, l’ex Lazio, Juventus e Roma finì addirittura in carcere per lo scandalo del calcioscommesse del 1980: “Commisi l’errore di frequentare un ristorante dove si scommetteva – spiega – Io e i miei compagni (furono coinvolti anche Giordano, Wilson e Cacciatori, ndr) puntavamo solo sulla vittoria della nostra squadra. Dopo una giocata andata male però i gestori denunciarono tutti, compresi noi. La giustizia sportiva ci squalificò per due anni e mezzo.”

La vicenda portò Manfredonia anche in carcere: “Ci sono rimasto per dodici giorni a Regina Coeli, mi ricordo che ero in tribuna a Pescara quando mi chiamarono due agenti all’intervallo. L’arresto in televisione era un modo per depistare l’attenzione da altri scandali che c’erano in Italia all’epoca. Eravamo nel braccio più tranquillo del carcere, durante l’ora d’aria i detenuti giocavano a pallone e noi ci univamo. Alla fine ho approfittato della squalifica per studiare, mi sono laureato in legge.”

Dopo la fine della squalifica e altre stagioni in maglia biancoceleste, nel 1985 il passaggio alla Juventus: “L’Avvocato Agnelli mi voleva bene, mi chiamò all’alba dopo un gol decisivo nel derby. Platini? Fu molto accogliente, mi ricordo una battuta che fece dopo che mi annullarono un gol regolare al Bernabeu. Disse ‘Giusto così, Lionello non può segnare al Real Madrid.’ In generale a Torino c’era molta professionalità rispetto a Roma, sentivi il dovere di vincere.”

Poi il finale di carriera alla Roma, con il malore in campo a Bologna il 30 dicembre del 1989. “Pochi mesi prima era venuta a mancare mia madre, ero molto stressato in quel periodo – racconta –  Arrivammo in treno, c’era un gran freddo e io ero mezzo influenzato. Dopo pochi minuti di partita ebbi un arresto cardiaco. Per fortuna a bordo campo c’era un’ambulanza con il defibrillatore, che all’epoca era una vera rarità. Se non ci fosse stato probabilmente non sarei qui. Dopo il malore rimasi tre giorni in coma.”

Se c’è forse un rimpianto è legato alla Nazionale, con il 1978 che aveva visto Manfredonia come riserva ai Mondiali: “In Argentina si fece male Bellugi, il mio amico. Bearzot preferì Cuccureddu a me, io andai su tutte le furie e gli dissi che non ero venuto a fare il turista e che avrei preferito rimanere fuori allora. Lui mi prese sulla parola, perchè non mi ha più richiamato.” Oggi Manfredonia è rimasto nel mondo del pallone, ma a modo suo: “Ho un accademia, si chiama “Il vero calcio”. Tanta tecnica, poca tattica. Ai ragazzi insegniamo il calcio che un tempo si giocava negli oratori. Gioco anche a padel, mi diverto molto e gioco con persone che non mi riconoscono. Infatti mi massacrano, perchè non sono fortissimo.”

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