Spesso si pensa ai calciatori come a delle persone prevalentemente fortunate: sono sempre in forma, lavorano poche ore alla settimana in cambio di stipendi stellari e godono dell’adorazione di milioni di persone. Si tende a dimenticare che anche loro sono umani e, quindi, si ritrovano a vivere delle situazioni molto difficili, a volte così difficili da segnare la fine delle loro carriere sportive. In alcuni scenari veramente drammatici, però, qualcuno è riuscito a uscire dalla crisi e tornare a giocare, traendo nuova forza dall’esperienza vissuta. Diamo un’occhiata alle storie di alcuni calciatori che sono particolarmente meritevoli delle fortune accennate sopra, avendo vissuto delle esperienze terribili prima di ritornare (o cominciare) a calciare il pallone.
Luka Modrić
Chiunque abbia guardato le partite del Real Madrid conosce bene il valore di Luka Modrić. L’attaccante è stato l’epicentro di una squadra che ha vinto la Champions League quattro volte, dirigendo le partite dal centro del campo. Ha persino battuto Messi e Ronaldo vincendo il Pallone d’oro 2018. Ma la sua vita, prima, era stata tutt’altro che dorata. Modrić ha vissuto la guerra in Croazia, dov’è nato. All’età di cinque anni dovette rifugiarsi insieme alla famiglia in un albergo fatiscente, dopo che le truppe serbe attaccarono il loro villaggio. L’infanzia del calciatore croato è stata segnata anche dalla morte del nonno, causata dai bombardamenti. Ma Modrić ha saputo tirar fuori una forza incredibile e si è fatto strada nel mondo del calcio: prima con la Dinamo Zagreb, poi con gli Spurs, fino a diventare il miglior giocatore del mondo. Proprio niente male per un ragazzino che tirava calci a un pallone attorno ai crateri lasciati dalle bombe.
Ivan Klasnić
Ivan Klasnić, croato anche lui, detiene un record speciale: è stato il primo e unico giocatore a partecipare a una competizione importante dopo un trapianto di organi. Come se questo fatto non fosse già degno di nota di per sé, il periodo di tempo trascorso fra i due eventi è breve in modo strabiliante: la diagnosi di insufficienza renale arrivò nel 2007 e, meno di 18 mesi dopo, Klasnić partecipava a Euro 2008, arrivando persino a segnare due reti.
Andros Townsend
L’ascesa del gioco d’azzardo per dispositivi mobili fa sì che sia sempre più facile piazzare una puntata ovunque ci si trovi. Infatti è stato fin troppo facile per Andros Townsend perdere 46.000 £ in un paio di click, dopo che una sera, nel 2012, dopo una partita, si stava annoiando nella sua camera d’albergo. A quel punto, gli fu chiaro che aveva un problema. In seguito, parlando dell’accaduto, Townsend ha riconosciuto di aver sbagliato e ha attribuito il gesto a una sofferenza emotiva che si portava dentro da quando aveva dieci anni, quando suo fratello Kurtis morì in un incidente stradale.
Non dev’essere stato facile per Townsend, in qualità di giovane professionista, rimbalzare da una parte all’altra del Regno Unito per via dei vari prestiti fra le squadre. Non avere una base fissa lo aveva portato a cercare una valvola di sfogo nel gioco d’azzardo. Eppure, quella repentina perdita economica si è rivelata un vero e proprio punto di svolta per il centrocampista inglese, sicuramente grazie al supporto ricevuto dall’organizzazione benefica inglese GamCare, che si occupa di fornire assistenza relativa alla dipendenza dal gioco d’azzardo e di diffondere indicazioni sulle buone pratiche del gioco d’azzardo “sano”. Oggi, Townsend può ringraziare GamCare per aver salvato la sua carriera.
Victor Moses
La storia di Victor Moses, centrocampista dell’Inter (in prestito dal Chelsea), è particolarmente incisiva. Il trentenne nigeriano è arrivato a Londra all’età di undici anni, dopo l’uccisione dei suoi genitori per motivi religiosi, mandato dagli altri parenti, che avevano raccolto il denaro necessario. Proprio durante il soggiorno a Londra, ha cominciato a rivelarsi il suo talento sportivo. Da teenager, è stato notato dalla società calcistica Crystal Palace, che lo ha preso con sé. Moses è poi arrivato a giocare con il Liverpool e il Chelsea e ha fatto parte della nazionale nigeriana dal 2012 al 2018, partecipando a due edizioni dei Mondiali (2014 e 2018) e ad una della Coppa d’Africa (2013).
Robert Schlienz
Nelle storie di cui abbiamo parlato finora, se non altro tutti i protagonisti avevano gli arti integri. Nel 1948, Robert Schlienz si stava recando in auto a una partita, con il braccio a penzoloni fuori dal finestrino. Improvvisamente, la vettura si ribaltò e il braccio di Schlienz rimase intrappolato sotto il suo peso. Starete pensando che l’amputazione dell’arto che fece seguito a questo terribile incidente pose fine alla carriera di Schlienz. Ma per lui che, da soldato, aveva già subito un colpo di arma da fuoco alla mascella, fu una bazzecola. Non solo si riprese del tutto, ma arrivò a essere il capitano della Stoccarda e a vincere due volte la Bundesliga con la sua squadra, oltre a giocare tre volte nella nazionale tedesca. Una delle ragioni del suo successo, oltre al durissimo lavoro e alla completa dedizione, fu un colpo di genio nella strategia di gioco: Schlienz cambiò ruolo, da attaccante ad ala. Questo cambiamento tattico gli premise di continuare a giocare puntando sulla resistenza fisica di gambe, rimasta invidiabile.