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Il termine italiano gol (adattamento dell’inglese “goal”, cioè “scopo”, “obiettivo”) anche ulteriormente italianizzato in rete, indica universalmente, negli sport collettivi, la realizzazione di un punto a favore della propria squadra. Nel gioco del calcio il gol rappresenta l’unico modo per marcare punti ed è assegnato quando il pallone varca interamente la linea di porta, nello spazio tra i pali e sotto la traversa.
Quello che Wikipedia non può dirci, però, è che c’è gol e gol. Il calcio, come ogni racconto ad esso legato, si nutre della marcatura di reti, le uniche che davvero, a conti fatti, determinano qualcosa. Il gol dà significato al calcio, ne stabilisce le differenze, ne sintetizza le rivalità.
Ma tra il firmarne uno in amichevole, uno in Serie A e uno in un Mondiale, ce ne passano di emozioni. E a tal proposito chiediamo: vi ricordate il gol più bello che abbiate mai visto in un Mondiale?
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Tra le prodezze del ventunesimo secolo ne andiamo a rivivere uno siglato in Germania, nel 2006. No, non è il gol di Grosso, bello, bellissimo e di un peso specifico che non dimenticheremo mai. Non è nessuna delle reti messe a segno dall’Italia di Marcello Lippi, che quel Mondiale, come ben sappiamo, lo vinse.
È il 24 giugno e allo Zentralstadion di Lipsia si affrontano l’Argentina e il Messico, nel derby americano degli ottavi di finale. L’albiceleste è reduce da un girone convincente, chiuso al primo posto con 7 punti conquistati nelle gare contro Costa d’Avorio, Serbia e Montenegro e Olanda. La nazionale del Tricolor, invece, di punti ne ha fatti appena 4, sufficienti per terminare il proprio gruppo al secondo posto, davanti Angola ed Iran e alle spalle di un indomabile Portogallo.
Il Messico parte forte, rendendosi pericolo sui calci da fermo a dispetto di un’Argentina timida e poco aggressiva. Là davanti Fonseca e Borgetti sgomitano ed occupano con mestiere il reparto offensivo, complicando sin dall’avvio la vita di Ayala ed Heinze, non proprio due teneri. Passano appena 5 minuti e Mascherano atterra Castro, involato sulla corsia destra: punizione. Batte Pardo, spizza di testa Mendez e sul secondo palo, in una spaccata di inaudita violenza, arriva d’esterno destro capitan Rafa Marquez a firmare l’1-0. Ha segnato il migliore, il leader, l’anima di un popolo che sta sognando e non vuole svegliarsi.
Ma dura poco.
Al decimo minuto, infatti, El Diez Riquelme (ah, Riquelme) batte un corner che cade in area piccola e consente a Crespo, aiutato dalla deviazione di Borgetti, di siglare l’1-1. L’intensità è alta: Crespo sfiora la doppietta, Abbondanzieri compie un mezzo miracolo su Borgetti, Heinze rischia di farsi cacciare per un fallo da quasi ultimo uomo e l’arbitro Busacca fischia la fine del primo tempo.
I portieri (per Abbondanzieri da una parte c’è Sanchez dall’altra) sono protagonisti anche nella ripresa, ma la contesa rischia di chiudersi quando nel finale il numero 19 Messi, entrato dalla panchina all’84’ (eravamo giovani) spinge in rete un comodo assist di Aimar. Il guardalinee, però, ha la bandierina alzata: è fuorigioco, ma in realtà non lo era. Ovviamente del VAR, ai tempi, non si discuteva neanche negli sgabuzzini dei palazzi della FIFA, così si va ai supplementari.
Ecco, è al minuto numero 98 che si concretizza la meraviglia. L’autore non è il giovane Messi, ma è un ragazzo di 25 anni che nei tempi regolamentari ha fatto poco, molto poco, tanto da non essere stato neanche menzionato sin qui. È nato a Rosario, come Messi, gioca in Spagna, come Messi, ma le analogie terminano qui.
L’azione “incriminata”, in ogni caso, la inizia Messi: scambio con Riquelme a centrocampo (colui che, come detto, indossava il numero 10 che poi finirà sulle spalle di Leo) e via a sinistra, a far correre il pallone verso il mancino dell’ex Lazio Sorin. Ci siamo.
Sorin cambia gioco, pescando all’angolo opposto dell’area di rigore l’eroe della serata. Si chiama Maximiliano Ruben Rodriguez, per tutti Maxi Rodriguez. Dopo essersi presentato al calcio professionistico in patria con i Newell’s Old Boys, è migrato nella penisola iberica per firmare con l’Espanyol. 3 stagioni da titolare, poi il trasferimento all’Atletico Madrid, upgrade importante per dimostrare le sue qualità da centrocampista offensivo ad un livello superiore.
Quindi cosa succede? Succede che Maxi stoppa di petto il pallone, ma più che uno stop il suo è uno “sgonfiare” la sfera, accomodarsela per mettere in pratica la sua prima idea, pensata nei decimi di secondo precedenti. Ha la palla sul sinistro, ma lui è destro e ha un avversario davanti. Fa niente. Calcia al volo.
Parte un missile allucinante, che supera lo sbalordito Sanchez e gonfia la rete nella sua parte più lontana rispetto alla posizione di partenza del tiro. Maxi Rodriguez ha segnato un gol strepitoso, e ci crede poco anche lui, mentre corre ad abbracciare tutti i componenti della panchina che nell’esultanza sono entrati sul terreno di gioco. Fa festa l’Argentina, piange il Messico. È la rete che decide l’incontro, incidendo il nome di Maxi tra quello degli autori dei gol più belli mai siglati in un Mondiale.
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