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Nasce la Superlega e stavolta fanno sul serio. Una competizione chiusa, contraria ad alcuni principi dello sport e che hanno caratterizzato il football fin dalla sua creazione, ma che aspira a interrompere una spirale di autodistruzione del mondo del calcio che con la pandemia di Covid-19 rischia di accelerare. Mai come in questa fase storica, sono i soldi a far girare il pallone e non i piedi dei giocatori: le grandi d’Europa non possono più aspettare e prendono posizione, anche a costo di andare in tribunale contro l’Uefa che appare invece inflessibile sulle proprie posizioni.
In fin dei conti, però, la Superlega esiste già da anni. Al di là del Bayern Monaco che sembra aver rifiutato, sono le dodici sorelle a vincere la Champions ormai da decenni, con rarissime eccezioni che sanno quasi di conferma alla regola. Non è già questa una prima fase embrionale di quella competizione a numero chiuso che si vuol creare? Le piccole hanno avuto le loro chance, non le hanno sfruttate e sono sempre le solite big ad alzare i trofei e a spostare i miliardi. Questo favorito dallo stesso fair play finanziario messo in atto dall’Uefa, che non ha fatto altro che continuare a far arricchire i club che erano già ricchi, non dando invece la possibilità a realtà più piccole di spendere oltre i propri standard per provare a colmare il gap.
Per non parlare della Serie A: una tra Juventus, Milan e Inter ha sempre vinto lo scudetto negli ultimi vent’anni. La parentesi di inizio 2000 con le romane è stata anche quella l’eccezione alla regola. Negli anni il Napoli, le stesse Lazio e Roma, persino l’Atalanta hanno provato ad avvicinarsi, ma alla fine il risultato è sempre stato quello. Il numero chiuso e l’assenza di retrocessioni può lasciare l’amaro in bocca ai tifosi, ma se dovesse andare in porto il progetto sarà l’ennesima dimostrazione di come sono i soldi, che piaccia o no, a far girare il mondo del calcio.
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