Il segreto della Juve? Una diversità tattica che vanta maldestri tentativi di plagio. Se ci si interroga su quale sia il reale punto di forza della Juventus negli ultimi cinque anni, dall’avvento di Antonio Conte in panchina all’ottima gestione di Massimiliano Allegri, ne vengono in mente diversi. In primis la solidità difensiva, che ha permesso ai bianconeri di veleggiare con una media gol subiti di 0,65 in un intero lustro (161 in 246 incontri ufficiali): numeri equiparabili a poche altre epopee calcistiche in Italia, forse il Milan di Fabio Capello a inizio anni Novanta.
Come le altre grandi squadre del passato, anche la Juve si è plasmata attorno all’asse difensivo, poggiando su elementi fissi, divenuti parte integrante (e immutabile negli anni) della formazione titolare, inizio di una sorta di filastrocca che recita “Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini… ”. In questo, la Juve attuale ricorda quella degli anni Ottanta degli “Zoff, Gentile, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea… ” oppure il citato Milan dei “Rossi, Tassotti, Maldini, Albertini, Costacurta, Baresi… ”. Formazioni divenute filastrocche mandate a memoria da tifosi, appassionati e addetti ai lavori, a dimostrazione di un teorema semplice e non smentibile: nel calcio vince chi negli anni non muta l’asse portante della squadra. In Italia, al 99% coincide con il pacchetto arretrato e più in generale con l’ormai celebre “fase difensiva”.
La Juventus – oltre all’abilità manageriale, alla costruzione dello stadio di proprietà, all’ingaggio di giocatori di livello funzionali al progetto – ha costruito il vantaggio sui competitor soprattutto in questo modo. Si pensi a quanto siano cambiate stagione dopo stagione le rivali, Roma, Inter e Milan. Un po’ meno lo hanno fatto Napoli e Fiorentina – e infatti sono le prime inseguitrici – che però quest’anno si sono ritrovate a dover partire con rinnovati progetti tecnici.
Ciò che il trio “Barzagli-Bonucci-Chiellini” ha portato alla Juve è un’invidiabile diversità, un elemento di discontinuità con la tradizione tattica del nostro Paese. Prima di Conte, che saggiamente virò sulla difesa a tre per valorizzare il potenziale dei giocatori a disposizione, il 3-5-2 era un modulo che le squadre di alto livello non conoscevano. Poteva variare il numero di centrocampisti, trequartisti e attaccanti, quasi mai quello dei difensori. Unica eccezione fu il Napoli di Walter Mazzarri, che ottenne buoni risultati senza tuttavia riuscire a primeggiare. In generale, fino a pochi anni fa al 3-5-2 corrispondeva l’etichetta di “catenacciari”.
Conte prima, e quindi Allegri, hanno trasformato la difesa a tre in uno schermo potentissimo contro qualsiasi attacco, dando allo stesso tempo all’intera squadra una rinnovata veste offensiva. E la differenza non l’hanno fatta soltanto le ali, poiché in origine con Conte erano spesso Lichsteiner e De Ceglie, non proprio due tornanti vecchio stile.
La Juve può stringersi in una fazzoletto di campo (come contro il Bayern) per non offrire troppi spazi, oppure può distendersi attaccando con cinque-sei-sette uomini, in ossequio al respiro europeo che si vuole regalare. Raramente però si “spezza” o si allunga sul campo. La diversità è garantita dall’interpretazione dello spartito e dalle caratteristiche degli interpreti: Barzagli e Chiellini sono stopper di grande forza fisica e corsa, eccezionali nei recuperi e negli anticipi (pur con piedi molto diversi), Bonucci è il leader tecnico (forse anche carismatico) della squadra, in grado di salvare in extremis, impostare la manovra e lanciare con precisione sulle punte. Aggiungendo mentalità vincente, coraggio ed esperienza, ne è fuoriuscito un reparto unico, forse irripetibile, vera chiave di volta dei successi juventini negli ultimi anni.
La conseguenza del discorso di cui sopra è l’imbarazzo con cui le rivali affrontano la Juve. Quante volte abbiamo visto squadre snaturarsi per cercare di metterla in difficoltà, passando a loro volta a una difesa a tre? L’Inter di Mancini, domenica scorsa e anche all’andata, ne è soltanto l’ultimo esempio. I nerazzurri hanno preferito rinunciare alle proprie certezze (poche) per cercare di vincere duelli individuali, per tentare di replicare quanto fatto dalla Juve.
La storia sta dimostrando quanto sia esercizio sterile: difficile battere il maestro sfruttando i suoi stessi punti di forza. I bianconeri giocano a memoria, adattandosi meglio di qualsiasi altra formazione alle caratteristiche avversarie, scegliendo con razionalità se aspettare nella propria metà campo, fare possesso palla o aggredire sulla trequarti avversaria. Vengono in mente pochi esempi di squadre che abbiano fatto il “camaleonte” riuscendo a imbrigliare la Juve dal 2011 a oggi, forse solo la Fiorentina di Montella lo scorso anno e in un’occasione il Torino di Ventura.
La difesa a tre dei bianconeri è una diversità che ancora non è stata pienamente messa a nudo. Allegri lo ha capito con intelligenza poco dopo il suo arrivo e a lei si è affidato. Anche senza Pirlo in cabina di regia. E gli allenatori rivali, se vogliono incrinare il dominio dei torinesi, dovranno osare di più: troppo semplice rifugiarsi nello “specchio”, soprattutto se l’immagine riflessa non è all’altezza di quella reale.