Il centrocampista inglese è il talento del Real Madrid, ma la sua storia è anche quella di un ragazzo che non amava il pallone
Hey Jude ha impresso il suo segno indelebile nella storia della musica dal 1968. Quando John Lennon e Paul McCartney (in realtà il vero autore, anche se poi è stata tramandata la leggenda autoriale del binomio: ma poco conta) la pensarono e realizzarono non era certamente consapevoli – come avviene se nel tuo tempo ci scorri dentro – di aver “costruito” una autentica gemma capace di attraversare come un inno sei decenni (almeno fino ad ora) e un secolo. Jude Bellingham “incanta il mondo ed è un dono per il calcio, non solo per il Real, per i suoi tifosi, per i compagni, lo è per tutto il movimento“: parole queste (e… musica) di uno soltanto, Carlo Ancelotti dopo il 4-2 al Maradona contro il Napoli, con gol e assist di Jude. E qui non c’è rischio che la storia crei un nuovo binomio da leggenda (per quanto Davide, il figlio di Re Carlo, sia sempre più dentro il mondo Real, quell’endorsement ha un solo copyright).
Sembrerà una banalità e non lo è, ma “Hey Jude” e Jude hanno incrociato i loro destini dopo che il brano iconico era già entrato in uno storico sport Nike. La commistione è stata scelta da Adidas, uno dei marchi che a Bellingham ha abbinato il suo brand, quando il colosso tedesco ha creato un video emozionale per il centrocampista del Real Madrid che giocava l’Europeo, dove sarebbe arrivato in finale contro la Spagna. E se la perla dei Beatles ha tagliato il traguardo degli 8 milioni di copie di vendute, la favola del talento di Stourbridge, West Midlands, è cominciata al traguardo dello stesso numero, l’8, che per lui erano gli anni appena compiuti.
E l’8 è stato uno dei numeri che ha “rischiato” di mettere dietro alla spalle, se è vero come è vero che Mike Dodds, una delle persone fondamentali per la sua formazione quando arrivò al Birmingham, cercò di dissuaderlo dall’attrazione magica per il numero 10 e gli disse: “Tu sei un po’ 10, un po’ 8 e un po’ 4, puoi giocare ovunque lì in mezzo. Sommali e prenditi il 22“. Jude, arrivato in prima squadra non ci si staccò più e lo stesso fece al Dortmund.
L’altra sera al Gewiss, nel match di Champions contro l’Atalanta che è stato uno spot per il calcio a viso aperto e senza tatticismi che mortificano lo spettacolo, Bellingham ha trascorso un tempo a guardare o quasi, nella ripresa ha deciso di accendere il suo talento e di mettere dentro la partita che il Real ha portato a casa con fatica, presenza totale a tutti campo, sombreri e un gol che avrebbe dovuto piegare la banda di Gasp, invece mai doma come si è visto all’atto del laser carico di orgoglio firmato Lookman.
A vederlo oggi Jude incanta, eppure con il calcio non iniziò benissimo, anzi. Phil Wooldridge della PSI Sports, società dilettantistica vicino casa Bellingham, è stato il primo a mettere il figlio di Mark (poliziotto ed attaccante tra i dilettanti con oltre 700 gol in carriera all’attivo) davanti ad un pallone. Jude aveva 4 anni… “Non gli piace, non lo vedo proprio appassionato” disse Wooldridge all’amico, papà speranzoso che il figlio potesse fare come lui, magari molto meglio.
Non si sa se Phil continuò ad insistere per assecondare le speranze di Mark (con cui poi avrebbe fondato insieme l’Accademia Stourbridge Juniors), fatto sta che passarono pochi mesi e il rapporto tra Jude e il pallone cambiò e divenne progressivamente indissolubile. Una cosa che il ragazzo non ha mai dimenticato, come certificò l’omaggio di un favoloso paio di scarpini per il suo vecchio maestro della prima ora – colui che seppe tirare fuori la passione nascosta – all’atto della convocazione per Euro 2020. Si è campioni anche attraverso i piccoli, grandi gesti.
Il fratello Jobe, la moda e la docuserie: tutto l’altro Bellingham
C’è un altro Jude Bellingham, oltre quello che ormai da qualche anno siamo abituati a vedere e raccontare, nonostante i suoi “soli” 21 anni, nell’olimpo del grande calcio. Il talento dei record ha altre storie da far brillare oltre quella che lo vuole legato indissolubilmente al Birmingham, il club di casa che salvò dal fallimento con la sua cessione record da 25 milioni di euro al Borussia Dortmund, fresco diciassettenne. Il club inglese lo ringraziò rendendolo eroe per sempre tramite il ritiro della sua maglia numero 22. E un anno fa il ds dei Blues che ora sono terzi in League One inglese spiegò anche che quel ritiro fosse… parziale. “Un giorno Jude tornerà e rimetterà la sua maglia“. Da lì il percorso di Jude è stato caratterizzato dall’istinto di polverizzare record attraverso il suo talento.
Non ha rinunciato al suo destino di recordman, Bellingham, nemmeno quando ha fatto il secondo trasferimento top della carriera: è stata storica anche la cifra con cui i tedeschi del Dortmund lo hanno ceduto al Real Madrid, per 103 milioni di euro. Una sorta di incontro con il destino visto che il ragazzo non ha mai nascosto le predilezione calcistica per un idolo su tutti, Zinedine Zidane. E cosa abbia significato Zizou per Madrid lo spiegano i 17 titoli nazionali, europei e mondiali vinti, da giocatore (5) e da allenatore (12).
Se poi vogliamo ironicamente entrare nel campo dell’esoterismo, Jude un anno fa, ritirando il Golden Boy che è il premio organizzato dal quotidiano sportivo italiano Tuttosport, si spinse in un vaticinio che si è rivelato beneaugurante. “Per il futuro occhio a mio fratello Jobe“. Due anni più piccolo, ruolo in qualche modo sovrapponibile, meno talentuoso al colpo d’occhio, ma sorprendentemente somigliante dal punto di vista somatico, Jobe Bellingham è cresciuto con Jude al Birmingham, in 60 partite con il Sunderland dall’estate 2023 ad oggi ha fatto 9 gol. Il mese scorso è arrivato l’esordio nell’Inghilterra Under 21 contro la Spagna e tre giorni dopo il bis con l’Olanda. Ora si parla di Borussia Dortmund anche per Jobe: non sarebbe forse la destinazione migliore quella di andare dove il fratello “indovino” ha spopolato. Certo è che le potenzialità del fratellino Jude le ha viste prima (oltre a leggere nelle sue caratteristiche migliori l’istinto del gol di papà Mark).
Ma l’asso di Stourbridge, come detto, è tanto altro oltre il pallone. La moda non lo lascia indifferente, anzi: nella scorsa Fashion Week di Parigi – appuntamento iconico per il settore – ha partecipato allo show di Pharrell di Louis Vuitton. Tra Kim Kardashian, Lenny Kravitz e Lewis Hamilton c’era lui, a replicare la sua esultanza piedi ben piantati a terra con le gambe leggermente divaricate e le braccia allargate a guardare sfrontato il pubblico. Così Jude è entrato tra i “Friends of the House” . E sono state le attività filantropiche e di beneficenza messe in atto da Bellingham ad attrarre la multinazionale del fashion francese: da quando aveva 15 anni Jude dona e raccoglie fondi per le attrezzature scolastiche della scuola materna e primaria Miche Bora di Mombasa.
Non è mica finita qui. La stella del Real ha anche prodotto se stesso aprendo un fronte del tutto nuovo nell’universo dei canali You Tube che tanti calciatori utilizzano per un rapporto più diretto con i fan. “Jude Out of the Floodlights”, “Lontano dai riflettori” è una docuserie visibile gratis e che ha già milioni di visualizzazioni. La strada la aveva aperta Cristiano Ronaldo. E chi meglio di lui.