Alla vigilia dell’amichevole Milan-Barcellona, Zlatan Ibrahimovic ha rilasciato un’intervista al New York Times, toccando vari temi a partire dal suo ruolo nel Milan: “Il mio obiettivo è quello di portare risultati e aumentare il valore, senza dimenticare l’ambizione del club che è quella di vincere. Non sono un babysitter, i giocatori devono assumersi le proprie responsabilità e dare il massimo anche quando non ci sono“.
Lo svedese ha poi ripercorso alcune tappe della sua carriera: “Se sono diventato un leader lo devo a Fabio Capello, che avevo ai tempi della Juventus. Mi ha distrutto, ma mi ha anche aiutato a formarmi. Io pensavo di essere il migliore e invece lui diceva che ero una merda. Al contrario, quando ero giù di morale, lui mi supportava. Posso dire che ha funzionato, visto che sono diventato il migliore. Al Milan vogliamo creare proprio questa cultura: un vincente crea vincitori, un perdente no“.
Sulla sua esperienza al Manchester United: “La gente pensava che fossi troppo vecchio visto che avevo 35 anni, ma questo non ha fatto altro che spingermi a dimostrare che avessero torto. Io volevo scrivere la mia storia, senza pensare a cosa era successo prima né alle opinioni degli altri. Mourinho? Era una macchina, ma anche un manipolatore. Sapeva entrarti in testa e tirare fuori il meglio di te, mi ha ricordato Capello, ma in versione più moderna. Mi piaceva perché mi ricordava le mie origini, la severità della mia famiglia“.
Poi un commento sulla sua parentesi ai Los Angeles Galaxy: “Accettai l’offerta per controllare se ero ancora vivo, e lo ero. Questo però mi ha fatto sentire il bisogno di tornare al luogo a cui appartenevo. Al mio ritorno al Milan volevo aprire la strada a una nuova generazione. Se la prima volta mi è stata data felicità , la seconda invece ho ricevuto amore. Ero il punto di riferimento, una sorta di angelo custode“. Infine, sulla possibilità di allenare in futuro, Ibra ha smentito categoricamente: “Ho i capelli grigi già adesso, figuriamoci dopo una settimana da tecnico. E’ una vita che non ti lascia tempo libero. Io invece voglio essere un leader, controllando dall’alto che l’organizzazione funzioni“.