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Dal 16 giugno 2019 all’8 agosto 2020. È durata un anno e poco più l’esperienza di Maurizio Sarri sulla panchina della Juventus, ma sembra passato un secolo da quando l’annuncio del nuovo tecnico sulla panchina campione d’Italia voleva segnare l’inizio di una nuova era per la squadra bianconera. La realtà si è rivelata più complicata del previsto: dopo un inizio convincente di stagione, tra problemi fisici di alcuni interpreti e cali di rendimento di altri, i campioni d’Italia hanno vissuto delle crescenti difficoltà, culminate nell’eliminazione dalla Champions League contro il Lione.
Parlare in senso stretto dei risultati sportivi come la causa di questa decisione però sarebbe limitante. Il vero fallimento di Sarri sulla panchina della Juventus è stato nell’essenza di quello che era il suo mandato a Torino, vale a dire portare una nuova filosofia dalle parti del “vincere è l’unica cosa che conta”. Si era parlato di continuare a vincere, ma di farlo in modo diverso: la necessità impellente di continuare a raccogliere trofei però ha impedito che questo cambiamento in qualche modo si compisse. Ecco che la Juve di Sarri allora è diventata un compromesso, una difesa alta ma fragile, un attacco di qualità ma sterile – salvo miracoli di de Ligt, CR7 e compagnia.
Magari sarebbe stato giusto dare a Sarri più tempo, oppure la possibilità di lavorare con un organico più adatto alla sua idea di calcio. Obiezioni sacrosante, se non fosse che la Juventus si porta dietro la necessità di spremere fino in fondo le possibilità e le qualità di alcuni giocatori a fine ciclo – Cristiano Ronaldo su tutti. Questo per dire che forse Sarri era l’uomo giusto, ma sicuramente era nel momento sbagliato. Provare a impostare una filosofia di gioco negli ultimi anni della carriera di uno dei calciatori più forti della storia è stata una mossa goffa, concettualmente sbagliata, e il riflesso di questa confusione è spesso arrivato fino in campo, nei momenti peggiori della Juve. È certamente curioso in questo senso notare che i primi acquisti già ufficializzati per la prossima stagione, Arthur e Kulusevski, fossero due giocatori ben calzanti con le esigenze che Sarri aveva – eppure da Sarri non saranno allenati. Confusione, appunto.
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Messa in quest’ottica, comunque, la scelta di tornare sui suoi passi di Agnelli diventa più comprensibile. È un’ammissione di colpa, il tentativo di correggere una valutazione sbagliata. Il board Juve si è reso conto di aver chiesto un cambiamento troppo radicale per un gruppo di giocatori che ha nel proprio DNA un’idea di calcio completamente diversa. E ciò vale sia per fuoriclasse come Dybala e Ronaldo, abituati ad una maggiore libertà nell’esprimersi in campo, sia per giocatori peggiori come Danilo, Rabiot o Bernardeschi, i quali invece semplicemente non hanno il livello tecnico richiesto per incidere in un calcio ambizioso come quello di Sarri. Sarri che, dalla sua, non sembra aver nemmeno preso in considerazione l’ipotesi di scegliere una traccia diversa dal solito palleggio insistito, lento, sterile, piatto. Forse per dare una vera sterzata a questi mesi la Juventus avrebbe avuto bisogno di qualche stimolo da parte del suo allenatore, che è invece apparso sempre più lontano dalle esigenze reali della squadra.
Ora gli orizzonti della Juve diventano difficili da decifrare. Condivisibile o meno, il secondo cambio di allenatore nell’arco di poco più di un anno resta una sorpresa, soprattutto considerando che tutte le squadre avranno pochissimo tempo per preparare la prossima stagione. Agnelli ha già fatto capire che c’è l’intenzione di rinnovare la rosa, ma il tempo a disposizione per farlo sarà poco, così com’è poco il budget reale da poter investire per alzare il livello. Ad ogni modo, qualunque sarà la prossima scelta a livello di guida tecnica, la dirigenza bianconera dovrà dimostrare più coerenza per evitare di incappare di nuovo negli stessi problemi che hanno reso così tormentata quest’annata. Una sfida non indifferente, anche per una società che si è abituata a dominare il nostro calcio.
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