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“Mi chiedo se la Champions non lo sia già, una Superlega. Avete visto il solco che si sta scavando, in termini di introiti, tra le squadre che vi accedono e quelle che restano fuori? Non mi sembrano maturi i tempi per creare un’ulteriore dinamica di upgrade. Non facciamo gli ipocriti, è normale che un azionista ci provi per dare una sistemata a bilanci disastrati. Ma non per questo la Superlega diventa sportivamente accettabile. La mia stella polare è il CIO. Se fai un campionato fai-da-te, alle Olimpiadi non ci vai“. Queste le dichiarazioni di Giovanni Malagò, intervistato dal Corriere dello Sport, sul tema Superlega.E sull’ipotesi playoff in Serie A: “Perché no. Certo, non con venti squadre”. O il tempo effettivo: “Dico sì con convinzione. Non sopporto di vedere calciatori per terra che simulano fratture multiple, o giocatori sostituiti che escono dal campo al ralenti. Il tempo effettivo promuove la lealtà sportiva”. E così la Var: “D’accordissimo. La tecnologia è utilissima, ma va usata meglio”.
Poi affonda: “Il calcio è l’unico sport dove esistono ancora dinamiche padronali. Almeno in Italia. In Inghilterra il proprietario non ha mai una gestione diretta della società. Delega, conferma, ricambia. Da noi, invece, i presidenti se la cantano e se la suonano”. Così il presidente del Coni Giovanni Malagò, intervistato dal Corriere dello Sport sulla crisi del calcio italiano, dovuta soprattutto ad un ritardo culturale. “Ricordo che – dice Malagò – quando da commissario della Lega ho messo in moto la revisione dello statuto per avere un consiglio di amministrazione con presidente, amministratore delegato, consiglieri indipendenti, mi guardavano come uno che volesse violentarli. Eppure giocavo in casa, c’era confidenza e stima reciproca, è gente a cui voglio bene e con cui vado a cena. Ma per loro l’ideale era continuare a mantenere la gestione dell’assemblea partecipativa, in cui si comanda in venti per non far comandare nessuno. Lo stesso accade all’interno delle società. Chi vende i diritti tv non può essere la stessa persona che si occupa dell’erba del campo e del contratto dei calciatori. I bilanci parlano. E dicono che si è perduta la via maestra del risultato economico senza raggiungere traguardi sportivi. Perché Moratti, Berlusconi e prima l’Avvocato hanno speso sì un sacco di soldi, ma almeno lo sfizio se lo sono tolto, alzando coppe da tutte le parti. Oggi abbiamo solo debiti e umiliazioni fuori dai confini. Guardi il livello quantitativo e qualitativo, dei diritti tv. Pochi introiti e contenziosi a gogo”.
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Per Malagò se non fossero arrivati gli americani con i loro soldi freschi “molti club sarebbero già saltati“. In Italia “le grandi famiglie, quelle che restano, sono scioccate dal sistema”. Poi aggiunge: “Una cosa mi colpisce. Il calcio è l’unica economia che ragiona al netto e non al lordo. Significa misurare la realtà sul desiderio e sul consumo e non sull’investimento che c’è dietro per realizzarli”. Il Presidente del Coni dice anche che Gravina ha compreso la situazione, “molto bene. Il nuovo presidente della Lega, Lorenzo Casini, è un giurista: deve essere messo nella condizione di lavorare. Servono una nuova governance e nuove regole. E soprattutto armonia tra Federazione e Lega”, conclude.
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