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Nella tradizione calcistica gli abbracci hanno una loro storia a parte. Fillol e Tarantini, Di Bartolomei e Ancelotti, o ancora Pelè e Moore, senza dimenticare Rivera e Riva. Quando Gianluca Vialli e Roberto Mancini si sono abbracciati sul prato di quel Wembley che 29 anni prima aveva tolto loro il trofeo più importante, l’Italia intera aveva unito ai festeggiamenti dell’Europeo vinto la commozione per la partita più dura del campione azzurro. Si è illusa di poterla vincere con lui e i sorrisi per un po’ hanno tolto la scena alle paure. Gianluca Vialli ci lascia dopo essere stato uno dei calciatori in grado di vincere ogni trofeo Uefa possibile, un tecnico diventato allenatore ancor prima di appendere gli scarpini al chiodo, splendido dirigente azzurro, ma anche uomo impegnato sul sociale. Ha investito sulla ricerca ancor prima di ammalarsi di un tumore al pancreas. Ha infatti dato vita, con Massimo Mauro e a Cristina Grande Stevens, alla “Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport”, una ONLUS per raccogliere fondi per la ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica. Colto ed elegante fuori dal campo, è cresciuto in una famiglia benestante ma “giocavo all’oratorio come tutti”, amava ricordare. I primi passi li muove alla Cremonese e la prima grande stagione è il 1983-84 con la doppia cifra in Serie B. La Sampdoria è il primo, grande salto ed è tra i protagonisti di un’epopea indimenticabile. In blucerchiato vince uno storico Scudetto, tre volte la Coppa Italia, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Italiana. Diventa persino il giocatore con più gol realizzati in una singola edizione della Coppa Italia. Nel 1992 perde invece la sua prima finale di Coppa dei Campioni. A Wembley Vialli e Mancini cadono contro il Barcellona. Ma il destino offrirà a Vialli altre due rivincite. La Champions con la Juventus, l’Europeo a Wembley da capo delegazione azzurro dell’Italia in finale contro l’Inghilterra. L’operazione che lo porta in bianconero fu all’epoca il trasferimento più caro nella storia del calcio italiano. Vince uno Scudetto, una Coppa Uefa, una Coppa Italia e una Supercoppa. Ma soprattutto è lui uno degli eroi della vittoriosa finale di Champions a Roma contro l’Ajax. Dopo la Juve, diventa uno dei tanti italiani ad aver militato al Chelsea, arrivando a ricoprire persino l’incarico inedito di allenatore-giocatore dopo le dimissioni di Gullit. Vince Coppa delle Coppe e Supercoppa Europea, ma anche una Fa Cup, una Coppa di Lega e una Community Shield. La parentesi Watford non funziona e inizia la vita da opinionista e dirigente.
Nel 2017 annuncia la malattia, un “ospite indesiderato”, dice. Pesa le parole, sempre con un pensiero a chi è nelle sue stesse condizioni. Dal novembre 2019 entra nei ranghi della FIGC come capo delegazione della nazionale italiana e partecipa alla vittoria dell’Europeo. A Wembley l’immagine di lui e Mancini è subito virale e commuove il mondo del calcio. Nel dicembre del 2022 sospende il suo incarico per curarsi. “L’obiettivo – annunciò Vialli – è quello di utilizzare tutte le energie psico-fisiche per aiutare il mio corpo a superare questa fase della malattia, in modo da essere in grado al più presto di affrontare nuove avventure e condividerle con tutti voi”. L’avventura più dura, con l’atteggiamento del solito campione, in realtà l’aveva già condivisa da tempo. Vialli ha scelto sempre con cura le parole giuste, senza dimenticare il tema della paura (“Ne ho, di morire”, disse) ma evitando sistematicamente il ricorso al vocabolario bellico. Lascia il mondo del calcio un calciatore fuori dagli schemi, mai banale, anche nelle aspirazioni. A 30 anni confessò che gli sarebbe piaciuto fare l’arbitro. E non era una boutade, proprio l’arbitro di calcio: “Ne parlerò con Casarin, la mia esperienza potrebbe essere utile”. Questo era Gianluca Vialli, un viaggiatore che amava sperimentare per scoprire sé stesso, guardando la vita da più punti di vista. L’ultima, terribile, esperienza l’ha attraversata con la dignità di sempre. Una fase della vita da vivere “con coraggio e dalla quale imparare qualcosa”. Ha poi insegnato a viverla, ma anche a parlarne. E alla fine sta tutto in quelle lacrime con l’amico di sempre a Wembley, un posto senza tempo dove i miti cadono e si rialzano: “C’era tutto, amicizia, amore, paura”, disse al Corriere della Sera. Nella storia del calcio restano i gol, ma anche la sensibilità di chi si sa commuovere dopo un abbraccio. Gianluca Vialli sapeva fare entrambe le cose.
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