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L’Atalanta vola grazie ai dettami del tecnico di Grugliasco, diventato il re Mida di Bergamo: il lungo percorso per arrivare al vertice
Diffidate dalle imitazioni. Anche perché non è riuscito ancora a nessuno di imitarlo, per quanto discepoli – veri o presunti – ne siano stati individuati tanti lungo la strada. Gian Piero Gasperini è unico e solo. E forse – conoscendone la riservatezza ed alcune spigolature caratteriali – sta anche molto bene così. Eppure hai voglia a cercarne e trovarne di epigoni.
Quasi tutti loro lo hanno avuto da tecnico quando giocavano, qualcuno ci ha anche condiviso il primo pezzo di strada compiuto nella loro carriera di allenatori. Per poi provare a librarsi in volo. Ivan Juric, Igor Tudor, Salvatore Bocchetti, ora Raffaele Palladino. E qualcuno vede sprazzi del Gran Maestro di Grugliasco (il paese che gli ha dato i natali) in Thiago Motta.
Il verbo si è diffuso a macchia d’olio: ci sono allenatori che verranno come Matteo Paro – attualmente secondo di Juric – Mimmo Criscito che ha già detto di voler intraprendere questa strada. C’è Francesco Modesto, profeta a Rende in Serie C – dove il risultato diventa spesso ragione di vita e il tempo sembra sempre poco per far maturare un’idea tattica – e poi Cesena, Pro Vercelli, Crotone e Vicenza, prima di volgere lo sguardo verso il Maestro e decidere di crescere vicino alla sua ombra, nell’Atalanta Under 23, la seconda squadra del club bergamasco.
Ce ne sono di fermi come Bruno Caneo – nel suo staff ai tempi del Palermo e nella fugace apparizione all’Inter – che aveva portato un calcio dinamico ed efficace alla Turris tanto da guadagnarsi il Padova, squadra di vertice sempre in C. Perché il Gasperini-pensiero non ha necessariamente confini d’élite, arriva dove naturalmente si espande. E non si sottovaluti come da quando l’Atalanta è cresciuta di fama, popolarità e vittorie anche all’estero, gli allievi possano germogliare ben oltre il mondo di riferimento immediato dell’uomo a cui i Percassi hanno affidato l’Idea.
Non parliamo degli estimatori eccellenti come Guardiola – l’uomo che nel 2019 inventò la parabola dell’Atalanta e del dentista e si prese volentieri un pareggio – o Carlo Ancelotti. Franck Haise, una modesta carriera da centrocampista, oggi tecnico con 181 panchine in Ligue 1 tra Lorient, Lens e ora Nizza, confidò di aver visto in occasione di un viaggio per andare a trovare la figlia studentessa a Manchester, proprio il City-Atalanta del 22 ottobre 2019 (5-1 per Pep che da Bergamo era tornato benedicendo un 1-1) e di essere rimasto colpito dalle idee portate su un campo tanto difficile come l’Etihad, così da elaborarle e farle proprie in un contesto come quello francese, più incline alle sperimentazioni e alla sedimentazione dell’idea calcistica nel tempo.
Andate a vedere il Nizza di Haise, tutto 3-4-3 e 3-4-1-2. Già, il marchio di fabbrica da cui Gasperini è partito per variare, elaborare, aggiornare. E far lievitare prestigio e risultati della sua Atalanta. La vittoria dell’Europa League a Dublino il 22 maggio scorso contro il Bayer Leverkusen può essere considerata il manifesto di un percorso virtuoso che Gasp ha iniziato nell’estate del 2016 a Bergamo. Basta vedere la sua carriera in panchina per capire quanto, una volta trovata la dimensione dentro cui muoversi sapendo di poter contare su ruolo, autorevolezza e stima, abbia valutato che camminare e costruire restando nella Casa Bergamasca sarebbe valso più che andare in giro a dover riproporre e riporre le basi del suo credo. E così nascono le 409 panchine in Atalanta contro le 855 totali: significa oltre metà della vita da allenatore.
L’inciampo Inter è un ricordo: Gasperini re Mida di Bergamo
Tutto era iniziato nelle giovanili della Juventus dove Gasperini ha costruito e vinto, per poi vivere una carriera a step, sempre in ascesa: il Crotone dalla C alla B, il Genoa dalla B alla A, l’Inter è stato il primo e unico inciampo, maturato in condizioni che forse non avrebbe dovuto accettare.
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Ma farlo allora sarebbe parso da presuntuosi e avrebbe significato non cogliere una opportunità che invece se vuoi fare questo lavoro devi saper cogliere. La maturità ha portato consiglio nel tempo, quando probabilmente le panchine del Napoli e della Roma non sono diventate opportunità concrete perché i pensieri, i dubbi – anche su quel che avrebbe lasciato – sono stati superiori alla spinta di andare. Gasp all’Inter è durato 5 panchine senza vittorie, un controsenso statistico per uno che ha vinto il 52 per cento delle partite con l’Atalanta e il 46 per cento in tutta la carriera. Poi Palermo, Genoa e nell’estate 2016 la chiamata dei Percassi, l’inizio della favola.
Più ancora dei giocatori che ha lanciato – una infinità e tanti, come detto, instillati con il seme della voglia di allenare che li ha avviati a un percorso – Gian Piero Gasperini ha lasciato il segno per alcuni marchi di fabbrica che altri colleghi hanno studiato e fatto propri alimentando, involontariamente o no, quella che tra gli addetti ai lavori si è diffusa come scuola silenziosa: l’esterno della difesa a tre che si alza in fase di possesso a centrocampo e crea situazioni interessanti su cui costruire superiorità, l’uomo di fascia della mediana che si trasforma in regista aggiunto nella costruzione offensiva, quel 3-4-3 (o 2-1) che diventa 2-3-4-1, concetto numerico che in campo ha efficacia solo se l’uomo (l’avversario) diventa il “bersaglio” con cui andare a fare l’asfissiante uno contro uno, sono basi imprescindibili.
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Se non esegui il compito come va fatto, Gasp diventa un dirimpettaio scomodo e un tantinello antipatico da digerire. Chiedere al Papu Gomez – è solo un esempio – per credere, quando confidò che il suo allenatore avrebbe voluto picchiarlo. De Ketelaere è solo l’ultima delle scommesse ribaltate rispetto ad un andamento che sembrava andar contro l’investimento che Paolo Maldini e Ricky Massara realizzarono al Milan: significa anche che i due – bistrattati un bel po’ senza motivo – non videro affatto male. Zaniolo sarà l’altrà scommessa da provare a vincere, verrebbe da dire la più ardua.
Intanto il Re Mida di Bergamo si guarda alle spalle e sorride pensando a quanto con il suo lavoro ha portato in cassa. Da Gosens a Bastoni, da Traoré a Demiral, da Cristante a Boga, da Mancini a Romero, da Castagne a Gagliardini, da Kessie a Kulusevski, da Barrow a Hojlund, ultimi Okoli e il boom Koopmeiners, ci sono 500 milioni e plusvalenze per almeno un terzo del valore all’atto dell’acquisto. E il conto è assolutamente a ribasso rispetto a quanto l’Atalanta ha venduto globalmente. Insomma se lei è la Dea, lui è il dio che l’ha resa terribilmente affascinante. E se un problema c’è è uno soltanto: immaginarsi un dopo. Forse è l’unico pensiero che i Percassi possono sentire sulla pelle come un incubo. Meglio non pensarci? O meglio farlo?