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“Tu non sei come gli altri. Tu sei il calcio, quello vero, quello puro dei bambini”, così Milan Badelj ricordava, nel giorno del funerale, Davide Astori.
Il 4 marzo, la Fiorentina viene bruscamente risvegliata. A colazione, il suo capitano non arriva e il numero 13 non è mai in ritardo. Vanno a chiamarlo ma non si sveglia. Davide Astori è morto nel sonno, nella sua camera del Best Western Plus Hotel Là di Moret, a Udine, dove la squadra era in trasferta per la partita di Serie A.
La gara tra Udinese e Fiorentina viene rinviata e la squadra gigliata torna in campo solamente la settimana dopo, nel match casalingo, contro il Benevento. È il 13’ del primo tempo quando il gioco si stoppa in memoria di Astori. Il calcio, per una volta, si ferma. Il minuto di silenzio a inizio partita è vero, assordante, glaciale. Il clima al Franchi paradossale: atleti in lacrime cercano forza e sostegno in un abbraccio, i palloncini volano in cielo e il pubblico è visibilmente provato. Non si è mai vista tanta sensibilità, affetto, commozione e rispetto in uno stadio. È il 25’ quando Vitor Hugo, il naturale sostituto di Astori, insacca in rete. Corsa verso la panchina e saluto militare a una maglietta che raffigura Davide.
La tragica scomparsa di Astori sembrava poter dare una svolta positiva al calcio italiano ma nemmeno la morte di un uomo, di un padre, di un marito, di un capitano, di un giocatore e di un amico per chi ama il gioco del pallone ha cambiato qualcosa. Nemmeno una tragedia è servita perché i bellissimi gesti di Firenze sono finiti nel dimenticatoio e siamo rimasti troppo tifosi e troppo poco obbiettivi. A 365 giorni dalla morte di Astori abbiamo dimostrato di non aver imparato nulla, tornando sulla strada dell’odio e della violenza.
26 dicembre 2018, nella notte di Santo Stefano, a San Siro, si gioca Inter – Napoli. Le feste sono ancora fresche, ma l’armonioso rapporto che lascia il Natale è già finito. Poco prima del big match, fuori dallo stadio, le due tifoserie si scontrano e un ultrà nerazzurro muore. La stessa sera Koulibaly, il difensore centrale partenopeo, viene preso di mira da cori razzisti e ululati. L’arbitro Mazzoleni non sospende il match e il senegalese, preso da nervosismo, confusione e tristezza, viene espulso per un gesto di stizza nei confronti del direttore di gara. Un fallimento per il calcio italiano (l’ennesimo) che ha perso un “tifoso” (era coinvolto negli scontri di San Siro e sottoposto già a due Daspo) e ha lasciato sfogare una mandria di razzisti che hanno usato lo stadio come cassa di risonanza per il loro odio. Sui profili social il numero 26 di Ancelotti sottolinea che, a prescindere dal colore della pelle, è anche lui umano. Dopo i fatti avvenuti a San Siro, la Lega Serie A decide di far giocare Genoa – Milan, visti i precedenti violenti tra le tifoserie, in un insolito lunedì pomeriggio. I supporter rossoblù non accettano la scelta e disertano la partita, stadio vuoto e clima desolato. Stiamo uccidendo la bellezza del calcio e il calcio.
Il 20 febbraio la Juventus si gioca il passaggio del turno di Champions League, vero obiettivo stagionale della compagine bianconera, contro l’Atletico Madrid. La Vecchia Signora perde 2-0 e Simeone, il tecnico della formazione spagnola, si lascia andare a un’esultanza troppo esuberante e volgare. Sui social network viene criticato, offeso e auguratagli la morte a lui e alla figlia appena nata. A distanza di non troppo tempo il tecnico juventino Allegri, si cancella dai social e (forse) capire il perché non è nemmeno troppo difficile. Al primo passo falso della sua squadra è stato condannato dalla gogna mediatica.
Il ciclo si chiude dove tutto è iniziato, a Firenze. Fiorentina – Inter, 24 febbraio 2019. In pieno recupero viene concesso alla squadra di casa un rigore che anche rivisto al Var non sembra esserci. Erroneamente l’arbitro Abisso lo assegna e Veretout, dagli undici metri, non sbaglia. Finisce 3-3. La rabbia dei tifosi nerazzurri è palpabile e capibile dopo una svista così grave ma è incomprensibile come le persone possono perdere completamente il controllo. L’odio interista diventa un fiume in piena e sui social augurano la morte, alla stessa maniera di Astori, profanandone così la memoria, a mister Pioli.
Questi soggetti incapaci di accettare una sconfitta o un errore dell’arbitro, non sono tifosi ma la realtà è che sono proprio a propagare violenza online e a riempire gli stadi. E a nulla servono spalti pieni di bambini, Napoli che si stringe attorno a Koulibaly, la Serie A che dedica 13 secondi di applausi ad Astori o Firenze che ogni domenica ricorda il suo capitano, se prima non si crea, in Italia, un’educazione sportiva. Un’educazione alla sconfitta perché saper perdere è uno dei primi valori che bisognerebbe imparare, fin da piccoli. Non significa avere una mentalità da perdente o vivere l’insuccesso come un fallimento, semplicemente saper comprende che non si può vincere sempre. Saper accettare il fatto che anche gli arbitri possano sbagliare, in quanto umani, invece di vedere sempre il complotto, la truffa, il fatto di essere stati “fregati”, di non aver perso per la bravura dell’avversario ma perché quest’ultimo ruba. Servono, invece, misure maggiormente cautelari nei confronti di chi è violento, razzista ed odia, anche nei social network, ormai il vero mondo attuale.
Forse, però, basterebbe “solo” un po’ di buon senso, di cultura e di educazione alla vita, allo sport e alle sconfitte, ricominciando dal calcio, quello vero, quello dei bambini, quello di Davide Astori. E se continuiamo a ricordare la figura carismatica e ben voluta del capitano Viola, forse, riusciamo anche a salvare il calcio. Quello vero.
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