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Così vicino all’addio tra fine marzo e inizio aprile, così dentro al progetto e già confermato per la terza stagione sulla panchina nerazzurra adesso: Simone Inzaghi conquista definitivamente l’ambiente nerazzurro e conquista anche la Coppa Italia, lui che di questa competizione è uno specialista. E’ la terza in bacheca da allenatore (più altre tre da giocatore), la seconda di fila con l’Inter, con cui concretizza due doppiette Coppa-Supercoppa consecutive e porta a quota quattro il numero di trofei vinti alla guida di questo club.
Numero non banale, perché nemmeno Spalletti e Conte nei loro bienni erano riusciti a fare altrettanto, figurarsi prima con una serie di gestioni tecniche traballanti. E così, per ritrovare dei periodi di grandi successi, bisogna tornare indietro fino a José Mourinho e a Roberto Mancini, che peraltro è anche l’ultimo ad aver occupato questa panchina per più di due stagioni, arrivando a cinque, con l’allenatore piacentino che si avvicina al suo terzo anno dopo la conferma di Marotta e i risultati improvvisamente tornati a sorridergli.
Una squadra che sta bene a livello fisico e mentale, che è qualitativa e ha una panchina lunga, anche se Inzaghi ha individuato i suoi titolarissimi con qualche ballottaggio qua e là. Questa Coppa Italia, sudata contro la Fiorentina, è un premio al suo lavoro e alla sua resilienza alle critiche, che sono state tante e giuste. Semplicemente, arrivate in un momento intermedio della stagione e soltanto su un lavoro parziale, che ha completato alla grande. Anzi, che sta completando: c’è da qualificarsi per la Champions, ed è quasi fatta, e poi il 10 giugno c’è da giocarsi la finale col City. E lì il cuore batterà a mille.
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