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Se Maurizio Sarri nei suoi primi otto mesi alla guida della Juventus non ha soddisfatto le aspettative di gran parte della tifoseria, questo può significare in sostanza due cose: o queste ultime erano ingiustificatamente troppo alte, o il lavoro del tecnico toscano non è stato all’altezza. La partita di Lione, probabilmente, ci riconsegna una realtà dei fatti che è la perfetta mediazione tra queste due chiavi di lettura.
“Faccio fatica a far passare il concetto del muovere la palla velocemente alla squadra. Questo è un concetto che prima o poi dovrà passare”. Una frase, quella del post partita di Lione, che può descrivere alla perfezione cosa è stato fin qui il cammino di Maurizio Sarri alla guida della Juventus. Una continua ricerca del compromesso più complicato, quello tra il bel gioco e i risultati, riuscito a Guardiola ormai oltre dieci anni fa e poi troppo spesso di rado per pensare che l’allenatore bianconero, ormai esperto anche in campo internazionale e fresco di un’Europa League conquistata, potesse riuscire a creare una macchina perfetta. Questa Juventus non è certo perfetta, ma è troppo lontana dall’esserlo: una squadra fragile in fase difensiva, che fatica a mantenere la rete inviolata e che, al di là del primo tempo col Lione, subisce anche contro l’ultima in classifica del campionato italiano. Il problema più importante, però, resta quello legato alla fase offensiva, che sembra distante anni luce da quanto visto con il tecnico toscano negli anni di Napoli e, in parte, anche col Chelsea: azioni che sembrano frutto dell’improvvisazione, errori di misura e spesso gratuiti, incapacità nel gestire le risorse a disposizione, con Higuain che entra troppo tardi al Parc OL e in generale la sensazione che Sarri non abbia ancora capito quale possa essere l’11 più affidabile, al netto degli infortuni.
E al di là della parte legata al campo, per la quale in ogni caso i frutti di otto mesi di progetto tecnico non si vedono ancora (ma resiste pur sempre il primo posto in campionato, una finale di Coppa Italia alla portata e la possibilità di ribaltare serenamente il doppio confronto di Champions al ritorno), a far precipitare l’avventura di Maurizio Sarri alla Juventus sono state spesso e volentieri frasi e atteggiamenti del tecnico, che pur dovette partite con l’handicap di essere stato l’uomo del tentativo, sfumato sul più bello, della rivoluzione contro il Palazzo nei suoi tre anni partenopei. Gran parte della tifoseria bianconera aveva comunque accolto positivamente l’allenatore, probabilmente con il tonfo con l’Ajax ancora negli occhi e nella speranza che potesse esserci un upgrade rispetto al gioco di Allegri, spesso vincente ma altrettanto poco “europeo”. Le speranze si sono però scontrate con la realtà , e mese dopo mese Sarri ha perso credibilità nei confronti dei supporter della Vecchia Signora. Come dimenticare, a questo proposito, il recente “Se proprio bisogna perdere, meglio che sia contro di loro” pronunciato in seguito alla sconfitta di Napoli, dove probabilmente le ragioni del cuore prevalsero su quelle professionali, o le continue rassicurazioni su una Juve in costante miglioramento e pronta per gli appuntamenti che contano, cosa che fin qui non si è vista.
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Fin qui non si è vista: ecco, questa è forse l’unica carta da giocare rimasta in mano a Sarri. Quella della sospensione del giudizio, non scontato dopo ben otto mesi di lavoro e diversi passaggi a vuoto, alcuni dei quali importanti, come la sconfitta con la Lazio in Supercoppa Italiana (e per quello, non ci sarà alcun appello) e l’andata persa male a Lione. C’è ancora la possibilità di raddrizzare la situazione, ma non con la Juventus vista fin qui. Fare un salto di qualità improvviso nel giro di poche settimane non è mai facile, ma mai come questa volta è indispensabile per la stagione bianconera. Il fallimento non è ammesso da queste parti, e la sensazione è sempre più quella che il tecnico toscano sia appeso a un filo. Del resto, anche lo stesso presidente Agnelli ha ammesso quello che pensano un po’ tutti: “Noi siamo molto contenti di Sarri, ma dire che nessuno pensi a Guardiola sarebbe un’eresia”. Vera la seconda parte della frase, probabilmente non la prima, ma c’è ancora un pizzico di tempo a disposizione. Da sfruttare nel migliore dei modi, per non sentire ancora una volta davanti alle telecamere frasi come “Faccio fatica a far passare il concetto del muovere la palla velocemente alla squadra. Questo è un concetto che prima o poi dovrà passare”.
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