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Una sorta di leggenda diffusasi qualche settimana fa, lo vedeva dubbioso protagonista con la cornetta del telefono in mano. Dall’altro capo, c’era Aurelio De Laurentiis, appena orfano di Arkadiusz Milik, infortunatosi in una gara con la Polonia. Miroslav Klose avrebbe resistito all’ultima tentazione di scendere in campo soltanto a inizio ottobre, rifiutando la proposta del Napoli. Ieri, è arrivata la notizia ufficiale del suo addio al calcio.
Mai più indosserà la numero 9 il calciatore più prolifico nella storia dei Mondiali di calcio. Il suo record, 16 reti nella competizione (con la perla finale messa a segno nello storico Mineirazo, 1-7 al Brasile nel 2014), sarà molto difficile da battere, perenne punto esclamativo di una carriera straordinaria. In nazionale, così come nei club dove ha giocato. Nel primo caso, con la maglia della Mannschaft, è stato vero e proprio talismano: ogni volta che segnava lui, la Germania vinceva. Nel secondo caso, con le sue 339 reti, ha più volte rappresentato l’ago della bilancia delle sorti delle squadre con cui ha giocato.
Origini polacche, portamento leggermente allampanato, Klose è l’ultimo mito del calcio tedesco. Fortissimo di testa (specialmente nella prima parte della sua carriera), ma estremamente agile anche con la palla al piede, l’ex giocatore di Bayern Monaco e Lazio ha rappresentato una vera e propria certezza nelle classifiche cannonieri europee. Contro la Fiorentina, il 15 maggio dello scorso anno, ha gonfiato la rete per l’ultima volta, è scivolato sull’erba e ha fatto “ok” con le dita. I tifosi della Lazio sono stati gli ultimi a esultare per una sua prodezza.
Ora, l’e-Miro del gol studierà da allenatore. Per lui, la carriera nella nazionale tedesca, prima come vice-Loew, poi chissà, è praticamente già tracciata. L’obiettivo sarà quello di alzare per la seconda volta la Coppa del Mondo. Sperando segretamente che nessuno riesca a far meglio di lui nella classifica cannonieri.