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Immaginate la seguente scena: l’Inter vince in casa l’ultima di campionato, ma il Crotone supera il Benevento e l’Inter è retrocessa in serie B. Incidenti sugli spalti del Meazza, entrano in campo i Carabinieri a cavallo e l’arbitro riesce a far riprendere il match solo per fischiare la fine.
Vi sembra poco realistico? Beh, forse lo è… ma è il paragone più vicino che si può trovare per descrivere quanto successo oggi in Germania quando l’Amburgo, unico club rimasto ad aver partecipato a tutte le edizioni della Bundesliga, è retrocesso al termine del match col Borussia Moenchengladbach. Doveva vincere, l’HSV, ma sapeva che non era sufficiente: era necessario anche che il Wolfsburg perdesse in casa con il Colonia ultimo in classifica e già retrocesso, in modo da agguantare gli spareggi per la permanenza in Bundesliga.
Non è successo, nonostante tre vittorie nelle ultime quattro giornate, nonostante il rotondo successo nello scontro diretto col Wolfsburg aveva autorizzato tanti tifosi a pensare che anche stavolta sarebbe successo il miracolo. In fondo loro sono gli “Unabsteigbar”, gli “Irretrocedibili”: ci sarebbe stato un altro spareggio agguantato all’ultima giornata, come nel 2014 e nel 2015, quando lo spareggio stesso si risolse all’ultimo respiro, col gol in pieno recupero di Diaz a prolungare ai supplementari il doppio confronto col Karlsruhe.
Ci credevano tutti, ad Amburgo, nonostante la sconfitta con l’Eintracht nella penultima giornata avesse messo la squadra in condizione di non essere padrona del proprio destino. A riportare tutti sulla terra Robin Knoche, ex difensore dell’under 21 tedesca e promessa mai sbocciata del tutto: il suo gol del 3-1 a meno di venti minuti dalla fine di Wolfsburg-Colonia ha messo la pietra tombale sulle speranze amburghesi. E il leggendario cronometro del Volksparkstadion che indicava gli anni di permanenza della squadra in Bundesliga si è fermato a 54 anni, 261 giorni e 36 minuti. Avevano proposto di toglierlo, credendo in un impeto molto poco tedesco che avrebbe finito per portare sfiga: c’era stata una sollevazione popolare. La retrocessione taglia la testa al toro.
In realtà era da parecchi anni che la situazione dell’Amburgo era più precaria di un Co.Co.Co. e basta vedere i piazzamenti dal 2011 per rendersene conto: su sette stagioni una sola tranquilla, il resto un calvario. Anche il decimo posto del 2015-16, complice una classifica cortissima, vedeva la squadra invischiata nella lotta per non retrocedere a pochissime giornate dalla fine. Quando rischi ogni anno, si sa, prima o poi succede. Ne sa qualcosa l’Aston Villa, altra squadra con tanti titoli nazionali e una Champions alle spalle, retrocessa dalla Premier League due anni fa dopo quattro stagioni di salvezze stentate. Risalire non sempre è facile, tra l’altro: i Villains quest’anno sono in lotta ma ci sono ancora gli spareggi da vincere, mentre l’anno prima era arrivato un modesto dodicesimo posto in Championship.
È il tema delle “nobili ricadute”. Ricadute, non decadute, perché certo non siamo al livello della Pro Vercelli in Italia o del Reims in Francia. Squadre ancora forti, ma che hanno sempre più difficoltà a competere in un calcio moderno dove il blasone, per un calciatore, rappresenta un valore aggiunto sempre minore e sempre meno in grado di bilanciare le differenze di investimenti economici. In Italia non ci sono casi così eclatanti, almeno non nel calcio: al massimo nel basket c’è Pesaro, che ha appena completato l’ennesimo miracolo. All’estero di nobili e semi-nobili ce ne sono di più, basti pensare ai saliscendi dell’ormai fu Super-Depor in quel di La Coruña. Segnali moderni di un calcio moderno dove se “nun ciai li sordi” la tradizione lascia il passo. Le irretrocedibili non esistono più.