Considerato uno dei più cristallini talenti del calcio ai tempi del Borussia Dortmund, Mario Götze ha dovuto per tutta la sua carriera fare fatica a causa degli infortuni e della sfortuna. Dopo il gol vittoria nella finale del Mondiale 2014 con la sua Germania, il fantasista tedesco ha passato gran parte delle scorse stagioni ai box, rischiando di terminare in maniera anticipata il suo sogno da calciatore professionista. Adesso però, a 32 anni e dopo aver disputato una grande stagione nelle file dell’Eintracht, sembra aver trovato l’equilibrio giusto e racconta a Zeit alcuni dei momenti più delicati della sua vita sportiva: “Non dimenticherò mai quel giorno in cui 60 tifosi vennero al nostro allenamento solo per insultarmi. Avevo 20 anni e decisi di andare al Bayern. Solo dopo, analizzando con distacco, ho potuto comprendere quelle reazioni”, dice l’ex Borussia in merito al suo passaggio ai rivali del Bayern.
Dopo i Mondiali 2014, la pressione si fa sentire e Götze lo sottolinea svelando ciò che faceva in quel periodo, soprattutto con l’arrivo di Guardiola sulla panchina bavarese: “Se non fossi partito titolare per due partite, per me sarebbe stata la fine del mondo. Dopo essere rimasto in panchina, tornavo a casa e mi mettevo a correre per due ore. Pep creava una tensione enorme. Si vedeva una netta differenza nel suo comportamento a seconda che si trattasse di giocare una Bundesliga o una Champions. Era due persone diverse”.
Nel 2017, poi, arriva il problema metabolico che lo ha portato a perdere improvvisamente la forma fisica adatta al professionismo: “Era il segno che avevo preteso troppo dal mio corpo. Non lo lasciavo respirare, lo pretendevo come se fosse un robot e non potesse funzionare“, dice sconsolato il tedesco.
Dopo, una volta guarito, il ritorno al Dortmund e il passaggio al Psv in periodo Covid, dove Götze ha dovuto affrontare alcuni seri problemi in famiglia: “Il mio contratto con il Dortmund era appena scaduto, è scoppiato il Covid e per la prima volta nella mia vita sono rimasto tre mesi senza club. Poi mio figlio è nato troppo presto ed è stato tre settimane nel reparto di terapia intensiva. Poi ho avuto una prospettiva completamente nuova. Niente è più importante della salute della mia famiglia”.