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La vittoria della Liga sul campo della rivale di sempre – l’Espanyol -, condannata ad una salvezza in salita, è l’ennesimo capitolo rocambolesco di una stagione trionfale ma turbolenta per il Barcellona. Non poteva d’altronde essere banale il ritorno al trionfo nazionale, il primo del post Messi in casa blaugrana. Innanzitutto, la scelta di Xavi si è rivelata corretta per un ambiente che aveva bisogno di scavare e di aggrapparsi alle radici del sentimento. L’incastro perfetto poi si è materializzato con l’exploit di Pedri e Gavi, con l’inserimento del fuoriclasse che mancava – Lewandowski -, ma soprattutto con una rivoluzione societaria profondissima. L’eliminazione dalla Champions e dall’Europa League resta una ferita che costringe i blaugrana a fare i conti con una dimensione europea da rivalutare. Quello sarà il prossimo step per una società che è tornata a vincere in Spagna nel momento più difficile della sua storia.
“Il club ora è salvo”, ha detto agli azionisti il presidente Joan Laporta nella settimana del trionfo. Il suo ritorno alla guida del club ha rasserenato l’ambiente, invertendo la rotta che aveva preso la precedente gestione. Per salvare la società , Laporta ha dovuto prendere decisioni drastiche, dolorose, forse persino umilianti. L’accordo con Sixth Street, il fondo che acquisisce il 25% dei diritti tv della Liga del club catalano per i prossimi 25 anni, ha permesso al Barca di riacquisire solidità finanziaria. L’attribuzione dei naming rights del Camp Nou a Spotify ha portato oltre 70 milioni di euro nelle casse del club a stagione, ma è uno dei ‘sacrifici’ che tanti tifosi tradizionalisti avrebbero voluto risparmiarsi.
Poi sono subentrate anche le accuse. Il caso Negreira – relativo a presunti vecchi rapporti tra il Barça e l’ex vicepresidente del Comité Tecnico de Arbitros José Maria Enriquez Negreira – ha scatenato la furibonda reazione del club, ma soprattutto ha diviso Real Madrid e Barcellona nel momento storico in cui le due giganti di Spagna si erano scoperte alleate sul tema dei fondi e della Superlega. Su questo fronte Xavi ha avuto il merito di trincerarsi dietro il lavoro sul campo, proteggendo la squadra e collezionando risultati di prestigio. Sono 63 i gol fatti, 11 quelli subiti (meglio di tutti nei cinque campionati top), quattordici i punti di vantaggio sul Real Madrid secondo.
L’ultimo capitolo nel derby contro l’Espanyol. Un 4-2 storico nella rivalità cittadina, che costringe i Periquitos a dover lottare a -4 dalla salvezza a quattro turni dalla fine e che restituisce quei panni di ‘prepotente’ che i blaugrana non indossavano da tempo. L’addio a parametro zero di Busquets – l’ultimo superstite del grande Barcellona di Guardiola – però fa scattare un anno zero, impone di nuovo il tempo delle scelte difficili. Storicamente in casa Barcellona sostituire le bandiere è un’impresa quasi impossibile, che spesso richiede anni. Nel periodo più turbolento della sua storia, però, il Barca sembra aver ritrovato quel carisma necessario per prendere la direzione giusta.
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