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Nel 1996 Rob Holding, giovane pedina difensiva dell’Arsenal, aveva un anno. Era la stagione dell’inizio di quella che sarebbe diventata l’era Arsene Wenger, manager alsaziano, proveniente dal Nagoya Grampus, club giapponese e ultima squadra del francese prima di approdare nel nord di Londra. Erano gli anni del “Boring boring Arsenal”, celebre coro dei tifosi gunners infastiditi dal modo di giocare non certo frizzante dei propri beniamini ma anche dell’incredibile eco mediatico di ‘Fever Pitch’, esordio dello scrittore Nick Hornby. La traduzione cinematografica dell’opera prima di Hornby arrivò solamente nel 1997 quando ormai l’amaro sfogo d’amore del Paul Ashworth interpretato da Colin Firth (“Non riesci più a capire se la vita è una m**** perché l’Arsenal fa schifo o viceversa”) era ormai fuori contesto. Nel 1997-98 i primi tre trofei: la FA Cup, suo vero vanto in carriera, la Premier League e la Community Shield. Sono gli anni delle fondamenta dell’Arsenal che riuscirà a battere un record che durava dal 1888-89: Henry e compagni, guidati da Wenger, nel 2003-04 riuscirono a vincere il campionato senza mai essere sconfitti. E’ la stagione degli ‘Invincibles’, che però rappresenterà l’ultima vera grande gioia di Wenger sulla panchina dell’Arsenal. La svolta nel 2006 con la sconfitta in finale di Champions League contro il Barcellona per 2-1. C’è una generazione di fenomeni da abbandonare e una da svezzare: Fabregas è l’anello di congiunzione tra le due epoche, Walcott, Szczesny, Gibbs, Sagna, Diabi e Nasri gli uomini su cui ripartire. Pochi di questi riusciranno a rispettare le aspettative e le delusioni iniziano ad accumularsi con il grido, poi diventato hashtag, di ‘Wenger out’ che diventerà sempre più un peso, oggi nel 2018 ormai insostenibile con lo spettro del St Totteringham’s Day mancato per due anni consecutivi.
Arsene Wenger abdica pur non essendo mai stato re. Piuttosto è stato il rivoluzionario capace di proporre un calcio elegante, veloce e divertente con la squadra che più di tutte aveva incarnato l’identikit di squadra nemica dello spettacolo. Fabregas è stata la sua intuizione più brillante, Wilshere e Nasri i più grandi rimpianti. Poi la gioia della FA Cup del record nel 2014-15 e nel 2016-17 e le Community Shield del 2015 e del 2017: troppo poco per una tifoseria che voleva la Premier League o un successo europeo. Con Mourinho la rivalità più accesa e a tratti anche violenta, con Ferguson, altro dinosauro della panchina, quella più elegante. Il suo aplomb inglese ha rischiato di vacillare solamente col tecnico portoghese tra spinte, conferenze stampa di fuoco e mancate strette di mano. Forse oggi anche Mourinho si commuoverà , d’altronde ventidue anni sono un pezzo di vita di chiunque, nel bene o nel male.