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“Raramente il tifoso dice: ‘Oggi gioca la mia squadra’, ma ‘oggi giochiamo’. E sa bene, questo giocatore numero dodici, che è lui a soffiare i venti del fervore che spingono il pallone quando dorme, e gli altri undici giocatori sanno bene che giocare senza tifosi è come ballare senza musica”.
Eduardo Galeano
Il conto alla rovescia sta per terminare. Questa sera alla Bombonera, alle 21 ora italiana, si disputerà il primo atto di Boca Junior – River Plate, finalissima della Copa Libertadores 2018, la gara di ritorno il 24 novembre al Monumental. Centottanta minuti per cuori forti, pronti ad essere vissuti sul filo sottilissimo che separa il trionfo dalla sconfitta, la gloria eterna dallo scherno, la vita dalla morte.
Questa volta in palio non c’è solo il titolo di miglior squadra del Sudamerica ma tanto, tanto di più. Chi non è nato nel barrio de La Boca, a Sud di Buenos Aires, può soltanto intuire ma non capirà mai cosa significhi davvero Boca – River. E’ il Superclasico più importante di tutti i tempi, il primo in una finale continentale, un vero e proprio punto di non ritorno. Una nazione intera è pronta fermarsi e a farsi travolgere dalla passione impetuosa che solo il derby più caldo del mondo sa trasmettere: signore e signori, benvenuti all’Apocalisse.
LA NASCITA DELLE SQUADRE – Solo un profano potrebbe definire Boca Juniors – River Plate una semplice partita di fùtbol. Dietro il Superclasico c’è una Storia che inizia agli albori del secolo scorso a La Boca, un quartiere di Buenos Aires che nasce sulle rive del Riachuelo, il fiume che divide il territorio della Capitale dal resto della provincia. Il nome Boca è dovuto al fatto che in questa zona il Riachuelo sfociasse nel Rio de La Plata, in un punto dove venne creato il primo porto di accesso, una sorta di “bocca” di ingresso alla città. Proprio nel quartiere portuale de La Boca si stabilirono i primi migranti italiani, per la maggior parte genovesi, a partire dalla fine del XIX secolo e per tutta la prima metà del 1900. In questo barrio poverissimo, gli abitanti impararono a giocare a calcio dagli equipaggi delle navi inglesi; uno sport che riscosse immediatamente uno straordinario successo, tanto che i giovani che lo praticavano iniziarono a fondare i primi club, fino ad arrivare all’incredibile cifra di trecento nei primi anni del ‘900.
River Plate e Boca Juniors sono nate a pochissimi anni di distanza l’una dall’altra. L’attuale collocazione geografica del River nel quartiere ricco di Nunez, però, non deve trarre in inganno. Fu proprio a La Boca, infatti, che su proposta dell’italiano Livio Ratto si unirono il Rosales ed il Santa Rosa, una società fondata da un gruppo di genovesi abituati a giocare vicino agli edifici del consorzio carbonifero Wilson, ed il 25 maggio del 1901 nacque il Club Atlético River Plate (the River Plate, il fiume La Plata): una delle tante versioni della storia afferma che come colori sociali vennero adottati il bianco ed il rosso presenti nell’insegna di San Giorgio, vessillo di Genova, in onore ai numerosi genovesi presenti all’interno della società.
Quattro anni più tardi, nel 1905, nacque il Club Atlético Boca Juniors. All’incontro, decisivo per la nascita della squadra, parteciparono cinque ragazzi, tre di origini genovesi (Esteban Baglietto, Alfreddo Scarpatti e Santiago Sana) e due di origini lucane (i fratelli Teodoro e Juan Farenga). La scelta dei colori sociali, vero pomo della discordia, venne lasciata al caso: fu deciso, infatti, di affidarsi alla prima bandiera della nave che sarebbe passata quel giorno nel porto di Buenos Aires. Qualche ora più tardi transitò un’imbarcazione battente bandiera svedese.
Il resto è storia.
LE ORIGINI DELLA RIVALITA’ E I PRECEDENTI – Non è sufficiente il fatto di condividere il luogo di nascita ad innescare quella che probabilmente è la più accesa rivalità di sempre fra due squadre di club. Per coglierne davvero l’essenza occorre scavare in profondità. Gli Xeneizes sono quelli del Boca. I tifosi del Boca Juniors, discorso valido per tutti gli abitanti de La Boca, sentono ancora estremamente vivo il legame con la città della Lanterna e si definiscono ancora oggi “Xeneizes”, storpiatura al plurale del termine ligure zeneize, che significa genovese. Sono la squadra operaia, proletaria. La squadra povera della città.
Gli altri, invece, sono Los Millionarios, i ricchi. Il soprannome dei tifosi del River Plate dice già abbastanza sulla loro origine e si base sull’esborso record (per l’epoca) di diecimila pesos che la società decise di investire negli anni ’30 per l’acquisto del centravanti Bernabè Ferreyra dal Tigre e per il successivo trasferimento del club nel quartiere nobile di Nunez, a nord di Baires. Una scalata sociale dal sapore di un errore imperdonabile.
I ricchi contro i poveri semplificherebbe qualcuno, ma c’è di più. Il derby dei derby è uno scontro epico fra due modi diversi di intendere la vita ed una delle sue metafore più significative: il calcio. Boca – River è una sfida che va oltre il terreno di gioco e si trasforma in un conflitto di ideali, in una faida tra popoli e fazioni che anima il cuore e lo spirito di migliaia di persone. Non è solamente la vittoria, è anche come raggiungerla. Chi attraverso l’estetica ed il bel gioco, chi sporco di terra e con il coltello fra i denti. Il Superclasico è una religione ed ogni culto che si rispetti ha bisogno del suo tempio per dare spazio all’immaginazione dei fedeli. Il Monumental, la casa del River, venne costruito con le cessioni di Di Stefano al Real Madird e di Sivori alla Juventus ed è sito fra Belgrano e Nunez, due delle zone più facoltose della capitale argentina; la Bombonera, fortino del Boca Juniors, deve il suo nomignolo al commento di uno dei suoi progettisti, José Delpini, che lo paragonò ad una scatola di cioccolatini, quelli ricevuti in dono il giorno dell’inaugurazione dell’impianto. Due stadi così diversi e così uguali per il vento di leggenda che spira al loro interno.
Il primo incontro ufficiale tra le due formazioni venne disputato il 24 agosto del 1913: 2-1 per il River Plate ed immancabili scontri fra tifoserie a fine partita. Anche “la prima” fra professionisti fu tutt’altro che tranquilla. Il match venne sospeso più volte prima di essere interrotto definitivamente al 76’ minuto dopo un rigore assegnato al Boca e l’espulsione del terzo giocatore del River. L’ultima volta che Boca e River si sono incrociate in una partita di Copa Libertadores si è giocato solamente un tempo. Era il 14 marzo del 2015, ritorno del quarto di finale alla Bombonera. Prima dell’inizio della ripresa i tifosi di casa riuscirono ad infilare un ordigno rudimentale nel tunnel che porta al terreno di gioco in grado di sprigionare uno spray urticante. Risultato: alcuni giocatori del River all’ospedale con ustioni di vario tipo e sconfitta a tavolino per il Boca.
Quella in programma questa sera è la sfida numero 248 fra le due compagini, la venticinquesima in Coppa Libertadores: 87 le vittorie del Boca contro le 81 del River, con 78 pareggi.
LE TESTIMONIANZE – Una volta a settimana, o anche di più nel calcio moderno, il tifoso fugge da casa per recarsi allo stadio. La città scompare, la routine si dimentica. In questo spazio sacro sventolano le bandiere, rullano i tamburi, piovono coriandoli e stelle filanti. Sarebbe estremamente più comodo assistere allo spettacolo dal divano, ma chi ha calcato almeno una volta i gradoni di questo luogo magico non ammette smentita di alcun tipo.
Martin è argentino. Dopo aver vissuto in Italia dal 2001 al 2004 (la mamma è nata in provincia di Salerno) è tornato in Argentina ed è un grande tifoso del Boca Junior. Di sfide con il River Plate ne ha già vissute molte ma nulla, ci conferma, è nemmeno lontanamente paragonabile a ciò che andrà in scena questa sera.
Un episodio su tutti ci aiuta a capire cosa rappresenti il Superclasico per un argetino.
“Nel 2003 ero in Cilento durante la finale di Libertadores fra Boca e Santos”, racconta Martin. “Allora non c’erano gli smartphone, quindi comprai due ricariche per ascoltare tutta la partita grazie a mio fratello che posizionò il telefono accanto al televisore. Oltre 90 minuti di pathos e di tensione, un ricordo indelebile”.
L’attesa per la finalissima è spasmodica. “Avere una squadra argentina in finale di Coppa Libertadores è una cosa fantastica per il nostro Paese”, prosegue Martin, “averne addirittura ancora meglio. Se queste, poi, sono Boca Junior e River Plate allora si fa un salto nella storia. Oltre il 75% degli abitanti di Buenos Aires fa il tifo per una di queste due squadre, così come il 50% di coloro che vivono al di fuori della capitale. Quando si gioca il “Superclasico” non si ferma solo una città, si ferma una nazione intera. E’ qualcosa che va ben oltre una finale di Coppa del Mondo e che se non si vive da queste parti è molto complicato spiegare. Chi vive in Argentina viene catapultato in una realtà parallela, dove di colpo tutti i problemi di ordine politico, economico e sociale e vengono accantonati e messi da parte”.
Inevitabile anche un accenno alle questioni di ordine pubblico, che dal 2013 hanno portato le autorità locali a vietare la presenza sugli spalti dei tifosi ospiti. “La situazione a livello di pubblica sicurezza è molto delicata. Sono cinque anni ormai che ai tifosi ospiti è vietata la trasferta per evitare di aggravare la situazione. Ahinoi c’è troppa violenza ovunque e molti delinquenti utilizzano lo stadio come posto per gestire i propri traffici illeciti”, conclude Martin con rammarico. “Mi auguro che in questa occasione non accada nulla di spiacevole”.
Alejandro è nato a Buenos Aires, è uno fra i più forti giocatori al mondo di bridge ed il suo cuore batte per il Boca.
“E’ la partita più importante di sempre per me”, ci spiega Alejandro, “unico xeneize in una casa di gallinas. In famiglia sono tutti tifosi del River e la tensione è già alta da molti giorni. La città è paralizzata e da giorni non si parla d’altro. Avremo tutti gli occhi puntati addosso per uno dei più importanti eventi calcistici di sempre. Sono costantemente in contatto con amici, sia del Boca che del River Plate, ai quali invio e dai quali ricevo foto, video e sfottò di ogni genere; è il nostro modo di scherzare e provare a gestire l’ansia, anche se tutti siamo consci del fatto che non può bastare così poco. Questa non è una partita ma LA partita, una di quelle occasioni uniche che rischiano di passare solo una volta nella storia di una squadra di club”. Quando si parla del Superclasico è facile aprire lo scrigno dei ricordi. “Sembra ieri”, ricorda emozionato Alejandro, “quando nel 2000 vincemmo 3-0 il match di ritorno dei quarti di finale di Libertadores con un gol di Martìn Palermo: ero convinto venisse giù lo stadio da un momento all’altro”. Ma cosa accadrà ai vincitori? E agli sconfitti? Alejandro, sul punto, ha le idee molto chiare. “Una sfida senza rivincita, direte voi, anche se non sono così sicuro. Senza dubbio chi ne uscirà sconfitto vivrà il tutto come una tragedia, anche se c’è un’onta che nessuno potrà mai cancellare. Noi tifosi del Boca siamo certi che la retrocessione in serie B dei nostri acerrimi rivali (2001 n.d.r.), per la prima volta dopo oltre cento anni di storia, sia una spina che non potranno mai togliersi dal cuore. Al momento non sono in Argentina per un torneo di bridge ed il caso vuole che il mio compagno sia tifosissimo del River. Credo guarderemo la partita ciascuno nella propria stanza”…
Agostino è tifoso del Racing ma suo padre è accanito sostenitore del River Plate e come tutti aspetta il primo atto della finalissima di questa sera come poche altre volte ha atteso qualcosa nella sua vita. Da grande appassionato di fùtbol conosce la storia di entrambe le società e ci ha reso partecipi delle sue conoscenze sul calcio rioplatense. “Il River Plate ed il Boca Junior sono entrambi nati a La Boca, a sud di Buenos Aires. Il River Plate nasce dall’unione di due squadre, Los Rosales ed il Santa Rosa, nell’ormai lontano 1901, e dopo alcuni anni al quartiere della Recoleta si è trasferito al Monumental. L’odierna lontananza fra i due stadi rende difficile cogliere appieno la rivalità fra le squadre, ma basti pensare al fatto che siano nate nello stesso barrio per capire cosa si vive da queste parti. I tifosi del Boca chiamano “gli altri” millionarios, a partire dal 1931, anno in cui il River Plate acquistò per la cifra record di diecimila pesos (oltre 2500 dollari di allora) l’attaccante Bernabé Ferreira, in un’epoca in cui l’accesso allo stadio costava un solo peso e per recuperare i soldi dell’investimento ci volle parecchio tempo”. Un ricordo indelebile è quello legato al gol fantasma di Suné nella finale del Campionato Nazionale del 1976. “Del gol fantasma se ne parlerà per sempre, fu una cosa incredbile. Il Boca sconfisse il River per 1-0 ma Canal 7, l’emittente che trasmetteva la sfida, non riuscì a riprenderlo facendone irrimediabilmente perdere le tracce. “El Chapa” batté rapidamente il calcio di punizione mentre Ubaldo Fillol era ancora intento a sistemare la barriera. Sconfitti, si, ma senza aver capito come”. Un pensiero, infine, ai voltagabbana, a quei giocatori che negli anni sono passati dal Boca al River e viceversa e che oggi sono ormai oltre sessanta. “Molti anni fa era diverso”, ricorda Agostino, “un vero e proprio tradimento imperdonabile. Oggi non è più così ed alcuni tifosi sanno che nella vita di un professionista alcune cose possono accadere”.
Giorgio, infine, è uno psicanalista tifoso del Boca. Attualmente risiede a Roma ma ha vissuto in Argentina per oltre trent’anni. “Siamo pronti ad assistere alla partita del secolo”, è convinto Giorgio. “Vivo la rivalità fra River e Boca a partire dagli anni ’50. Il calcio è cambiato nel corso del tempo ma ciò che rappresenta questa sfida va oltre anche l’incedere degli anni. Per molto tempo sono state loro a dividersi il titolo nazionale di Campione d’Argentina, prima dell’avvento di altre squadre. Il barrio de La Boca si prepara sempre per tempo alla supersfida:il quartiere si sveglia giorni prim, le case ed i muri vengono dipinti con i colori della squadre ed facile vedere negli occhi delle persone l’emozione scatenata dall’evento. Si vive in simbiosi con la propria squadra del cuore, è una sensazione incredibile”. Da piccolo Giorgio andava spesso allo stadio ed è legato in modo particolare al centravanti brasiliano Paulo Valentim, bomber di razza che fra il 1960 ed il 1965 mise a segno ben 67 reti in 105 presenze con la maglia del Boca. “Valentim era un fenomeno, ci faceva spellare le mani. In gradinata si urlava “Tin tin tin, gol de Valentim!” per tutto l’arco della partita. Era un giocatore temutissimo e che nelle sfide con il River ha offerto le sue migliori prestazioni di sempre. Il forte portiere del River e della nazionale argentina, Amadeo Carrizo, tremava ogni volta che se lo trovava davanti e noi tifosi, come si suol dire, facevamo il resto”. Il paragone con altre realtà sorge spontaneo. “Con la nascita dei miei figli ho iniziato ad appassionarmi alla Roma, seguendola spesso allo stadio Olimpico. Ho avuto la fortuna di vivere esperienze anche all’interno di stadi brasiliani ma posso assicurare che ciò che si vive per il super derby è qualcosa che non ha eguali in tutto il resto del mondo. Lo si può raccontare per tutto il resto della propria vita”.
LA SITUAZIONE SOCIALE – I problemi di ordine pubblico hanno animato un intenso dibattito politico appena si è materializzata la possibilità di avere un Superclasico in finale. Non ci saranno tifosi ospiti nel doppio confronto. Come ormai accade dal 2013, anche in questa occasione i presidenti di River Plate e Boca Juniors, Rodolfo D’Onofrio e Daniel Angelici, d’accordo con il presidente della federcalcio argentina Claudio Tapia, hanno deciso di vietare la “trasferta”, a causa dell’elevato rischio di incidenti. Le date dei match, inoltre, sono state cambiate per evitare la sovrapposizione con il G20, che si terrà a pochi isolati dal Monumental appena tre giorni dopo la partita di ritorno. L’Argentina si ferma e prova a non pensare alla sua drammatica situazione economico sociale. Un calcio non solo al pallone ma ad una crisi che negli ultimi anni ha portato al crollo verticale della moneta costringendo oltre il 30% della popolazione a vivere sotto la soglia di povertà.
Tanti, tantissimi i campioni che hanno disputato il Superclasico, da Maradona a Tevez, da Sivori a Batistuta, da Francescoli ad Higuain. Questa sera toccherà a Dario Benedetto e Ramon Abila da una parte, a Franco Armani e Lucas Pratto dall’altra. Tutti vogliono esserci, in campo e sugli spalti. El Pibe De Oro siederà in un palco d’onore, poco più in là sarà presente anche il presidente russo Vladimir Putin. Il centrocampista dello Zenit, Leandro Paredes (ex Boca) si sarebbe fatto espellere volutamente pur di tornare a casa per poter assistere alla partita della vita. Che nessuno si tiri indietro. Sarà l’ultima finale della storia della Libertadores con la doppia sfida andata-ritorno. Il Boca, vincendo, metterebbe in bacheca il settimo trofeo e raggiungerebbe l’Independiente; il River conquisterebbe, invece, la seconda coppa in tre stagioni e cancellerebbe in via definitiva l’onta della retrocessione del 2011.
Aquì y ahora, empieza el Superclasico.
Che lo spettacolo abbia inizio.