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Paolo Tramezzani si è raccontato sulle pagine de ‘Il Foglio Sportivo’. Il tecnico italiano era sbarcato ad inizio luglio in Arabia Saudita sulla panchina dell’Al-Faisaly ma successivamente ha deciso di fare ritorno al Sion, in Svizzera. Queste le sue parole: “Vivevo ad Harmah, moglie e figlia invece a Riyad, a distanza di due ore di autostrada. Harmah è un villaggio che pare galleggiare in un tempo lontano. Riyad è una città avveniristica, proiettata nel futuro, un’oasi di acciaio e tecnologia. Vivere divisi era un problema, anche questo ha pesato sulla scelta di tornare in Europa. Ad Harmah giravo sempre con pantaloni e maniche lunghe, nonostante i quaranta e passa gradi, un inferno. Era per rispettare le loro abitudini, così come mia moglie teneva sempre il velo”.
“Sì, per una donna lì è tutto più complicato. Quando sono andato a prendere mia moglie all’aeroporto non ho potuto abbracciarla, è un gesto ritenuto sconveniente. Al ristorante non potevamo entrare insieme, uomini e donne hanno ingressi separati. Ovviamente zero alcol. Niente vino, niente birra. E dire che ogni tanto a tavola io e Elisa ci guardavamo: ma un bicchiere di vino, no? Il vino lo trovavi al mercato nero, ma anche no, grazie: è un rischio altissimo. Qualcosa si muove nella direzione dei diritti, ma è ancora poco:da un paio d’anni le donne possono andare allo stadio, ma sono ghettizzate nel posto più brutto, in uno spicchio scoperto, ci sono solo loro e non possono spostarsi da lì”.
Sugli allenamenti in terra saudita: “Ad Harmah passavo al campo tutte le mie giornate: avevo un traduttore, organizzavo gli allenamenti in base alle preghiere. Tutta la vita degli arabi è scandita dalla preghiera. I miei giocatori pregavano sette volte al giorno. Alle quattro e mezza e alle sei meno un quarto sentivamo le campane delle moschee e allora ci si doveva fermare tutti. Non è facile se vuoi fare calcio in un certo modo ma devi essere elastico e personalmente credo che ogni esperienza serva ad arricchirti. È stato così anche stavolta”. Alla fine la decisione: “Ho risolto il contratto in un minuto senza problemi, hanno capito le mie esigenze e le difficoltà di una vita normale. Mi hanno ringraziato, ho fatto lo stesso io per la bella opportunità che mi avevano offerto: se non fosse stato per il Sion difficilmente avrei lasciato l’Arabia”.
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