Calcio

Buffon si racconta al ‘Corriere’: “Guarii dalla depressione. Le scommesse la mia debolezza”

Gianluigi Buffon Nazionale
Gianluigi Buffon - Foto LiveMedia/Lisa Guglielmi

“Era la fine del 2003, il campionato era cominciato bene, poi cominciammo a perdere colpi e stimoli. Eravamo reduci da due scudetti di fila: dopo l’up, il down. Mi si spalancò davanti il vuoto. Cominciai a dormire male. Mi coricavo e mi prendeva l’ansia, pensando che non avrei chiuso occhio. Poi accadde anche in campo. Un attacco di panico. Sentivo una pressione al petto, non riuscivo a respirare, pensai che non avrei mai voluto essere lì e non avrei mai potuto giocare la partita. Era Juve-Reggina, in casa. Andai dall’allenatore dei portieri, che era un grande: Ivano Bordon. Lui mi tranquillizzò: ‘Gigi, non devi giocare per forza’. Ripresi fiato. Guardai scaldarsi il secondo portiere, Chimenti, che è un mio carissimo amico. E pensai che ero davanti a una sliding door, a un passaggio decisivo della mia carriera, della mia vita”. Gigi Buffon in un’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo sulle pagine del Corriere della Sera ripercorre tutta la sua carriera, anche i periodi più bui, in occasione della pubblicazione della sua autobiografia “Cadere, rialzarsi, cadere, rialzarsi”. 

Altro tema su cui l’attuale capo delegazione della Nazionale ha decisso di non nascondersi è quello delle scommesse:È stata una mia debolezza, fino a quando non ho trovato il mio centro. Per qualcuno è un vizio. Per me era adrenalina. Di una cosa sono certo: non ho mai fatto nulla di illegale. Infatti non sono mai stato indagato, non ho mai ricevuto un avviso di garanzia. Perché non ho mai scommesso sulla Juve o sulla Nazionale o sul calcio. Ho sempre e solo scommesso sul basket americano e sul tennis. Ora al massimo vado due o tre volte l’anno al casinò. Ma non ne sento il bisogno”, sottolinea.

Buffon torna anche sulle accuse di fascismo rivolte nei suoi confronti per una maglietta con il numero 88 indossata durante la prima esperienza a Parma: “Non avevo la minima idea che per qualcuno evoca Heil Hitler, essendo la H l’ottava lettera dell’alfabeto; per me voleva dire avere quattro palle. E non avevo la minima idea che “boia chi molla” fosse un motto neofascista. Un giorno l’allenatore del Parma, che era Ulivieri, mi convoca e mi fa trovare un busto di Lenin. Il Parma si giocava la finale di Coppa Italia, e io avevo insistito perché scendesse in campo il secondo portiere, Guardalben, che aveva disputato tutta la competizione. Ulivieri mi disse: tu Gigi non sei fascista, sei comunista, perché hai fatto un gesto straordinario per un tuo compagno”.

Tra gli aneddoti, l’arrivo a Villar Perosa e l’incontro con Agnelli dopo essere stato acquistato dalla Juventus: “La Juve aveva venduto Zidane al Real e investito duecento miliardi per me, Pavel Nedved e Lilian Thuram. Agnelli ci invitò a Villar Perosa. Ci accolse sorridendo: ecco i nostri miliardi che camminano! Dopo, forse vedendo Lilian, chiese cosa pensassimo del caso Milingo. Thuram, che è uomo di mondo, abbozzò una risposta. Nedved lo guardava allibito: palesemente non aveva mai sentito nominare Milingo in vita sua”.

Infine, sugli allenatori: “Sono stato fortunato. Ho avuto i sergenti: Scala, Capello, Conte. Quelli che scuotono i calciatori. E ho avuto gli psicologi, quelli che li calmano: Ancelotti, Allegri. Abituati a Conte, che ci faceva cazziatoni terribili, Allegri ci parve un angelo. Alla vigilia di una partita, sulla lavagna degli schemi scrisse solo: 3. “Siete tre volte più forti degli avversari. Ora andate in campo e vincete”

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