Evaristo Beccalossi, ex calciatore dell’Inter e Dirigente della Nazionale, ha parlato a La Gazzetta dello Sport, raccontando vari retroscena della sua carriera e della sua vita. “Quando arrivai all’Inter volevo il numero 8, ma mi diedero il 10. Pensai a Mazzola, Suarez, Corso…cosa c’entravo io con loro? La Gazzetta fece un inserto, ce l’ho ancora a casa: in copertina io e Platini, il mancino e il destro. Cosa c’entravo io con Michel? Non sapevo mai come avrei giocato: arrivavo a San Siro carico e non toccavo palla, ero reduce da una settimana di serate e facevo solo numeri. Ero così. Gli psicologi dicono che sono pericoloso quando ho tutto sotto controllo. Ma se tornassi indietro non cambierei nulla. Io voglio morire ingestibile”.
Beccalossi si racconta: “Ero ingestibile, fumavo e bevevo nei locali. Ma mi accettavano”
Poi ha proseguito: “Facevo un allenamento vero a settimana. Il martedì recuperavo dalle botte, il mercoledì ci davo dentro, il giovedì dipendeva, il venerdì mi sdraiavo sul lettino del massaggiatore Dellacasa con sigarette e Gazzetta e tiravo sera, il sabato provavo le palle inattive. Fumavo un pacchetto al giorno, bevevo una decina di caffè, ma i compagni mi accettavano così com’ero”. E sulla domanda ‘hai qualche rimpianto’ ha concluso: “Zero. Mi sarebbe piaciuto fare il Mondiale ‘82, ma mio padre mi aveva insegnato a trasformare una delusione in un’opportunità. E così seguii quel Mondiale come commentatore da Montecarlo: un mese bellissimo. Dopo essermi ritirato ho lavorato per la Sony, nel marketing: lì non c’era il talento ad aiutarmi, mi sono arrangiato e ho fatto buone cose”.