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Agosto, quest’anno, è il mese delle competizioni calcistiche europee. Champions ed Europa League sono quasi giunte al capolinea regalando spettacolo e sorprese. Nel frattempo, però, precisamente il 12 del mese, Mario Balotelli ha compiuto 30 anni. Fa uno strano effetto, considerando che per tutti gli anni di carriera in molti hanno aspettato che il suo talento sbocciasse definitivamente. Il tempo ormai stringe ed è difficile ipotizzare un definitivo salto di qualità. Balotelli è un giocatore fatto e finito che ha sempre vissuto di alti e bassi.
“Predestinato”. Era questa l’etichetta che gli era stata affibbiata nel 2008, quando a soli 18 anni riusciva a decidere la gara di ritorno dei quarti di finale di Coppa Italia. Ai tempi, Mario giocava nell’Inter di Roberto Mancini, che da poco lo aveva promosso in prima squadra. Scelta azzeccata, come già detto, anche e soprattutto perché quella doppietta arrivava contro la Juventus, rivale storica dei nerazzurri. In quel momento tutto il paese immaginava un futuro roseo per il predestinato di origini palermitane.
In effetti, anche la stagione successiva sembrava confermare quanto di buono si dicesse sul suo conto. Il 4 novembre 2008, sotto la guida di José Mourinho, Balotelli è diventato il più giovane marcatore in Champions League della storia dell’Inter. Ma quella stagione, la 2008/09, è anche la prima in cui il carattere difficile di Mario comincia a intravedersi. Nota la faccenda con Panucci, allora difensore della Roma, che gli valse un deferimento. L’ultimo acuto di Balotelli all’Inter arriva invece l’anno dopo, quando Mario diventa uno dei protagonisti del leggendario Triplete nerazzurro. Celebre il suo gol su punizione contro il Rubin Kazan, una sassata sotto l’incrocio fondamentale per il passaggio dell’Inter alle fasi finali della Champions.
Nell’estate del 2010 Mario si accasa al Manchester City. Tutti si aspettano grandi cose da lui e le attese vengono parzialmente rispettate. Il punto più alto raggiunto da Balotelli durante la sua esperienza in Inghilterra è il derby dell’ottobre 2011. Non solo in campo, grazie a una doppietta decisiva per la vittoria per 6-1 dei Citizens, ma anche per un’esultanza diventata leggenda che gli è valsa la fama di uno degli sportivi più eccentrici al mondo. “Why Always Me”, recitava infatti la maglietta indossata sotto la tenuta da gioco, in riferimento a un presunto incidente domestico che lo aveva coinvolto ed era stato denunciato dai media.
Da quel momento in avanti Balotelli sembra però perdersi e dopo 2 anni e mezzo decide di cambiare aria. Arriviamo quindi al gennaio del 2013, quando l’attaccante azzurro giunge alla corte di Massimiliano Allegri, al Milan. L’esordio contro l’Udinese sembra una dichiarazione d’intenti. Balotelli realizza la doppietta che vale la vittoria per 2-1 dei rossoneri e dà inizio al miglior periodo della sua carriera. In quella seconda metà di stagione, che per il Milan culminerà con una straordinaria qualificazione in Champions, Balotelli sfoggia numeri straordinari. 12 marcature in sole 13 presenze sono infatti il biglietto da visita per la stagione successiva, quella della consacrazione. Invece, nonostante il suo record personale in termini realizzativi (14 gol), l’anno in questione sarà molto deludente (anche per i noti limiti caratteriali) e spingerà il Milan a cederlo.
L’arrivo al Liverpool rappresenta a tutti gli effetti l’inizio della fine per Mario, che da quel momento cambierà squadra dopo squadra senza mai trovare un contesto adeguato. Ai Reds, infatti, l’attaccante segna soltanto un gol e dopo un anno torna al Milan in prestito. La stagione 2015/16 non sarà degna di nota, anche a causa di una pubalgia, e il Milan deciderà di non riscattarlo. Nel suo futuro ci saranno Nizza e Marsiglia, esperienze segnate da qualche flebile acuto e infine il Brescia, dove ancora una volta si parlerà più del Balotelli personaggio che del Balotelli calciatore. Mario rimarrà fuori dai giochi per molti mesi per poi ritornare in estate con un peso vicino ai 100 chili.
Quella di Balotelli, che ha da poco compiuto 30 anni, è la classica storia di un incompiuto. Il suo percorso nel calcio per club dà infatti l’idea di un calciatore che grazie alle sue doti naturali avrebbe potuto lasciare un segno nel calcio contemporaneo, ma il cui carattere ha rappresentato un limite invalicabile. E nello sport, come nella vita, è la testa a fare la differenza.
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