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In principio è stata la volta dell’Italia, poi è toccato alla Spagna, quindi a Francia e Inghilterra che sembravano voler proseguire a oltranza, per poi arrivare alla Germania che dirà stop a breve e all’Uefa che ha fermato tutto seppur con ritardo. Il calcio chiude i battenti praticamente ovunque per via dell’emergenza coronavirus e i primi a restarci male sono i tifosi, che si vedono privati di quel passatempo che da anni non è più soltanto legato al weekend, ma praticamente a ogni istante della propria giornata. Il calcio come un gioco, dunque, ma spesso e volentieri la storia ci insegna che gli interessi legati al mondo del pallone sono spesso sfociati in meri scopi economici, e talvolta anche politici. Per restare in quest’ultimo ambito, uno degli esempi più eclatanti risale al 1974, ai Mondiali che quell’anno si giocavano in Germania Ovest e al clamoroso gesto di Joseph Mwepu Ilunga nella partita tra lo Zaire, alla prima e tuttora unica partecipazione alla fase finale della coppa del mondo e il Brasile che, seppur ormai privo di Pelè, era pur sempre la selezione campione in carica e infarcita di fuoriclasse.
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IL REGIME MOBUTU – Lo Zaire (adesso Repubblica Democratica del Congo) aveva vinto la coppa delle nazioni africane nello stesso anno ed era stata ammessa a partecipare per la prima volta al Mondiale. Non senza fatica e dopo qualche contrattazione tra la Fifa e lo stato africano, governato dal dittatore Mobutu, che restò in carica fino al 1997, anno in cui fu scacciato da una rivolta e che culminò con la morte a 66 anni durante l’esilio in Marocco per un cancro alla prostata. Mobutu aveva instaurato un regime imperniato su violenza e corruzione, ma è proprio sotto la sua dittatura che l’allora Zaire vive la sua pagina più bella nel mondo del calcio. E al contempo, anche la più brutta.
CAMMINO DIFFICILE – Mondiali 1974 in Germania, dicevamo. Lo Zaire partecipa da cenerentola assoluta e viene inserito in un girone mica male con Brasile, Jugoslavia e Scozia. Proprio contro i britannici arriva l’esordio assoluto e coincide con una sconfitta per 2-0 abbastanza preventivabile (la distanza tra il calcio europeo e quello africano, peraltro sub-sahariano, all’epoca, era davvero incolmabile) e tutto sommato contenuta. La situazione precipitò nella seconda giornata della fase a gruppi in cui la selezione africana era contrapposta alla forte Jugoslavia, che non ebbe pietà e vinse con un impietoso 9-0. E Mobutu, nonostante fosse ben conscio dei limiti tecnici della nazionale del proprio paese, non la prese affatto bene.
22 GIUGNO 1974 – Si arriva dunque alla sfida contro il Brasile campione in carica dopo la vittoria di Messico 1970 contro l’Italia. I verdeoro quattro anni prima avevano portato a casa anche la Coppa Rimet versione originale dopo aver trionfato in tre occasioni diverse e nonostante l’addio di Pelé alla Selecao arrivavano in terra tedesca con i favori del pronostico. Per i cittadini dello Zaire era già una vittoria poter sfidare una squadra così forte, per Mobutu evidentemente contavano ragioni legate all’onore e a tante altre cose che possono passare nella mente di un dittatore sanguinario e di cui preferiamo non parlare. Ciò che conta è che il 22 giugno del 1974, a Gelsenkirchen, scendono in campo Zaire e Brasile nell’ultima giornata della prima fase a gironi. In contemporanea si gioca Scozia-Jugoslavia e per i verdeoro si tratta di una partita decisiva: in caso di vittoria sarebbe arrivato quantomeno il secondo posto in classifica e dunque il passaggio del turno. E la vittoria non sembra certo in discussione, visto che Jairzinho porta avanti la squadra sudamericana già al 13′. Nella ripresa Rivelino e Valdomiro firmano altri due gol e portano il risultato sullo 0-3 a dieci minuti dal termine. Pochi giri di lancette dopo sarebbe accaduto qualcosa di anomalo e inspiegabile, un mistero rimasto tale per quasi trent’anni, prima della spiegazione ufficiale fornita proprio dall’autore del gesto nel 2002.
VITE IN GIOCO – A pochi minuti dal 90′, con la partita ormai saldamente in pugno, il Brasile conquista una punizione dal limite e sono in tanti a saper calciare con pericolosità i piazzati. L’arbitro rumeno Rainea piazza la barriera dello Zaire e si appresta a fischiare, quando improvvisamente dal muro africano si sgancia come una gazzella un calciatore, che a sorpresa si scaglia verso la sfera e la calcia lontanissimo, verso la metà di campo brasiliana. Si tratta di Joseph Mwepu Ilunga, discreto terzino destro che all’epoca aveva venticinque anni, per anni oggetto d’ilarità e solo successivamente simbolo, nel suo piccolo, della lotta contro i regimi totalitari. Direttore di gara stupito (e costretto ad ammonire Mwepu prima di far riposizionare la barriera), calciatori spiazzati, pubblico sugli spalti divertito (in molti si saranno chiesti, tra una risata e l’altra, “Ma come, nello Zaire non conoscono il regolamento del gioco del calcio?”). Ed è innegabile, è un gesto che fa ridere se decontestualizzato: la punizione – da regolamento – sarebbe stata ripetuta ugualmente, perché allontanare il pallone in un modo così goffo? Nel 2002, a ventotto anni di distanza e a cinque dalla caduta del regime di Mobutu, viene rotto il muro di silenzio.
IL DRAMMA UNIVERSALE DI UN UOMO – Il gesto di Mwepu, scomparso nel 2015 dopo una lunga malattia, racchiude al suo interno non l’ingenuità di un calciatore, ma la disperazione di un uomo. Dopo la sconfitta per 9-0 contro la Jugoslavia, infatti, il dittatore Mobutu aveva fatto sapere alla squadra che in caso di sconfitta contro il Brasile con un risultato superiore al 3-0 avrebbe ucciso in primo luogo i giocatori e successivamente anche le rispettive famiglie. Ed ecco che riguardando il video questo smette di mostrare il gesto scriteriato e comico di uno sconosciuto terzino finito per caso in un match dei Mondiali: tutti, riguardandolo bene, notiamo il dramma di un individuo che, in maniera chiaramente irrazionale, si fa carico di una situazione tragica che, oltre a coinvolgere la Nazionale dello Zaire, toccava un’intera popolazione sottoposta a decenni di soprusi. Troppo spesso si sente dire che il risultato non conta e che la prestazione viene prima di tutto: ci sono volte in cui non è così e Zaire-Brasile del 1974 ce lo ricorda sempre, anche se da un punto di vista sbagliato e folle. Per fortuna, a Gelsenkirchen finì 0-3.Â
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