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“Con il Santos, abbiamo fermato la guerra. La gente va così pazza per il calcio… Lo ama al punto da interrompere la guerra per vedere giocare il Santos in Africa”. Così Pelé, per molti il più grande giocatore di tutti i tempi, racconta quanto accadde nel 1969 e di come la passione per il gioco del calcio riuscì – seppur per poco – a fermare addirittura alcuni conflitti, tanto da far guadagnare al proprio club, i brasiliani del Santos, l’appellativo di “Squadra che ferma la guerra”. E in un periodo storico in cui l’intera umanità si è ritrovata di punto in bianco a dover combattere con nemico tanto invisibile quanto subdolo, tanto da fermare a livello globale lo sport come non accadeva dalla seconda guerra mondiale, la storia di Pelè e della particolare tournée in Africa di cinquantuno anni fa può far sorgere oggi un velato senso di ottimismo in un periodo buio.
PERIODO D’ORO – Il periodo d’oro del Santos è legato a doppio filo con la militanza di Pelè tra le fila del Peixe. Negli anni ’60 il club brasiliano vinse qualcosa come due Copa Libertadores e altrettante intercontinentali, e poi otto campionati nazionali e sei campionati del paese carioca: all’epoca quest’ultimi erano ancora chiamati Tacas, poi la rivoluzione del 1971 che portò alla nascita dell’attuale campionato brasiliano coincise con un ventennio di declino per i bianconeri. Al di là dei grandi successi ottenuti in quel decennio magico, i tifosi del Santos si godevano anche un clamoroso dominio contro i rivali di sempre, vale a dire il Corinthians, che pure per lungo tempo aveva monopolizzato la scena. Dal 1956 al 1968 il Peixe rimase imbattuto per ventidue match consecutivi contro lo storico avversario, frutto anche della particolare vena realizzativa di Pelè che in carriera segnò qualcosa come cinquanta gol in quarantotto incroci con il Timao.
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PELE’ E LEOPARDI – Il Santos deve a Pelè certamente molto più di quando Pelè deve al Santos. La leggenda brasiliana ha segnato 1091 gol con la maglia bianconera nei diciott’anni di permanenza, frutto anche della decisione del governo di dichiarare O Rei intrasferibile al di fuori dei confini nazionali. E l’artefice del sodalizio vincente tra Pelè e il Santos fu una vecchia gloria del club, Waldemar de Brito, che lo convinse appena quindicenne a firmare per i Meninos da Vila, uno dei tantissimi soprannomi di questa gloriosa squadra: “Questo ragazzo sarà il più grande giocatore di calcio del mondo”, diceva, e aveva ragione. Su Pelè sono stati versati fiumi d’inchiostro e il suo astro splende di luce propria, tanto da ispirare Gianni Brera a un parallelismo ardito ma quantomai riuscito con Leopardi. “Pelè mi incanta come non ha mai potuto nei giorni più splendidi. Dolce, chiara è la notte e senza vento. Pronunciate le comunissime parole di questo che è fra gli endecasillabi di più limpida trasparenza. Continuate: e cheta sovr’ai tetti e dentro gli orti. Posa la luna e di lontan rivela – serena ogni montagna. Sapete che è Giacomino: ha il Parnaso fra le scapole, e i coglioni dicono che è gobbo. Bene: adesso guardate Pelé. Dolcechiaré: ha alzato il piedino prensile: lanotte: la palla si è fermata al primo contatto e senza vento: ricade ammansita sull’erba: un piedino prensile l’accarezza mentre l’altro spinge: echetasovraitetti: accorreva un avversario: si è coricato come un birillo: tettiposalà: avanza un altro: piroetta; lalùna: ecco un compagno smarcato: oppure, ecco una nuova battuta di dribbling: si corica il secondo birillo: o magari no, questa volta il birillo non si corica e vince il tackle: Pelé ha sbagliato il dribbling: càpita: anch’io ho dimenticato: sovr’ai tetti e dentro gli orti. Ripetizione: posalalunedì lontàn rivèla: ora parte Pelé in progressivo: è Berruti che vòlita fìngendo di allenarsi. Serenognì montàgna. Correndo, senza sforzo apparente, ha fissato i bulloni in terra ed ha scaricato fulmineo la pedata: ha mirato, si è visto: mentre correva ha mirato e battuto a rete. Serenognì montàgna. Punto. Gol. Mettete tutti gli assi che conoscete in negativo, poneteli uno sull’altro: stampate: esce una faccia nera, non cafra: un par di cosce ipertrofiche e un tronco nel quale stanno due polmoni e un cuore perfetti: è Pelè”.
“LA SQUADRA CHE FERMA LA GUERRA” – E torniamo dunque all’appiglio che questo periodo di quarantena forzata e di caos calmo ci fornisce per riportare alla memoria ciò che il Santos e Pelè rappresentarono: la grandezza terrena, quasi la perfezione a livello di squadra e di singolo. Tanto da fermare le guerre come nessun fenomeno era mai riuscito a fare in un territorio complicato come l’Africa di cinquant’anni fa. Era il 1969 e il Santos, all’apice della propria parabola, aveva da tempo concordato una tournée nel continente nero e non furono le guerre che scoppiavano copiose da quelle parti a fermare la squadra brasiliana. Semmai fu proprio il Peixe a fermare la guerra, per ben due volte. Nella Repubblica Democratica del Congo, che si apprestava a diventare Zaire, dove si combatteva contro il regime di Mobutu, il Santos fu obbligato alla scorta dell’esercito per poter raggiungere Brazzaville, nel confinante Congo. E pochi giorni dopo in Nigeria, in piena guerra del Biafra. Tanta era l’ammirazione nei confronti di Pelè, di chiare origini africane, e in generale dei bianconeri brasiliani, che in entrambe le occasioni i guerriglieri deposero volontariamente le armi e ripresero a combattere soltanto quando i calciatori abbandonarono il territorio. “La squadra che ferma la guerra”, il Santos di Pelè.
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