Amarcord

L’angolo del ricordo: la folle ambizione di Brian Clough, Special One ante litteram

Brian Clough, Foto Hans van Dijk / Anefo via CC 1.0

“Non direi di essere il miglior allenatore al mondo, ma sono sicuramente nella top one”. E’ questo il bigliettino da visita di uno tra i più grandi allenatore di calcio inglese di tutti i tempi, Brian Clough da Middlesbrough, un uomo capace di remare contro tutto e tutti, di alimentare per anni una vera e propria ossessione, di creare terra bruciata per via di un carattere spigoloso, arrogante e sopra le righe, finendo però per essere apprezzato e idolatrato in tutto il Regno Unito. Un uomo capace di vincere due Coppe dei Campioni, di scrivere pagine incredibili in club inglesi non di prima fascia: nato proprio il 21 marzo, nel 1935, e strappato via al mondo terreno da un tumore all’età di 69 anni, è stato in grado di guadagnarsi una certa immortalità nella memoria collettiva.

LA PRIMA VITA – Se la fama di Clough è legata senza mezze misure alla sua carriera di allenatore, non si può trascurare quanto fatto nella vita precedente, quella da calciatore. Attaccante, per la precisione, e di assoluto livello. 197 gol in 213 apparizioni con la squadra della sua città, il Middlesbrough, altri 54 in 61 presenze con il Sunderland, fino a quel brutto infortunio dell’autunno del 1964, quando per la prima volta si era guadagnato la possibilità di giocare in prima serie inglese dopo anni giocati sui campi della seconda divisione. Stagione finita, carriera pure. E alla voce statistiche sono 251 gol in 274 partite di campionato, un numero pazzesco che aveva portato a una delle prime epifanie di cosa sarebbe stato Clough in tuta da allenatore: “Certo che è un record, conosci forse qualcun altro che abbia segnato 251 gol in 274 partite di campionato? Il pidocchioso Bobby Charlton? Il fottuto Jimmy Greaves? Hanno forse segnato tutti quei gol in così poche partite? Col cazzo che li hanno fatti. Perciò puoi giurarci che è un cazzo di record, e sarà sempre un cazzo di record perché non ci sarà un altro come me. Mai e poi mai”.

LA SECONDA VITA – Quando la carriera di giocatore viene interrotta all’apice del proprio successo ad appena ventinove anni, probabilmente scatta qualcosa. In un certo qual modo, essere così impreparati e spiazzati di fronte al proprio futuro deve regalare qualcosa in più dal punto di vista delle fiches a propria disposizione. Ed è così che ad appena trentadue anni Brian Clough, secondo di otto figli e cresciuto in una famiglia di umili origini, si ritrova ad allenare il Derby County. E’ il 1967 ed è costantemente ubriaco, proprio come tante altre leggende un po’ maledette di questo sport. A salvargli la vita e probabilmente anche una carriera che si apprestava a diventare luminosa è Peter Taylor, portiere ai tempi del Middlesbrough, carattere agli antipodi e amico di vecchia data che nel frattempo è diventato un talent scout. E’ l’inizio di un sodalizio che scriverà pagine indelebili del calcio d’Oltremanica. E’ l’inizio, soprattutto, della seconda vita di Brian Clough, lo Special One ante-litteram.

IL RUOLO DEI MEDIA – Clough viene ingaggiato dal Derby County di fatto senza una vera esperienza da allenatore e con una rosa non di primo livello, invischiata quasi ogni anno nei bassifondi della classifica di Second Division. Il tecnico impone subito i suoi metodi inflessibili e riesce a farsi rispettare da uno spogliatoio in cui alcuni giocatori erano più anziani di lui. La squadra comincia a far vedere un buon calcio, anche se quelli erano gli anni del gioco duro e della totale assenza di fair play in Inghilterra, Brian non beve più e ha capito che un altro buon modo per far sì che tutto vada per il verso giusto è diventare un personaggio mediatico e trasversale. E’ uno dei primi allenatori della storia a capire che la televisione e la stampa potevano diventare, più che un nemico, un vero e proprio alleato involontario, e così cominciò un lungo periodo fatto di interviste volutamente sopra le righe. Alternate, ovviamente, con grandi risultati. Tutto, però, nacque con una bruciante sconfitta.

TUTTO COMINCIA COL LEEDS – “Non esiste una squadra in tutto il Paese, non esiste una squadra in Europa, che non voglia battere Don Revie e il Leeds United. Neanche una. È il sogno di tutti, giocare contro Don Revie e il Leeds United e battere Don Revie e il Leeds United. Io non sogno altro, giocare contro Don Revie e il Leeds United e battere Don Revie e il Leeds United”. Il sogno di Brian Clough si sarebbe potuto realizzare appieno nel 1968, quando il suo Derby County, all’epoca in seconda divisione, viene sorteggiato in FA Cup proprio contro il Leeds United, che all’epoca era una delle squadre più forti del massimo campionato, odiata da molti ma rispettata da tutti. Il manager ammirava Don Revie, l’artefice dell’exploit del Leeds, e sapeva che per dare una spinta alla propria carriera da allenatore una vittoria contro di lui sarebbe stata un gran trampolino di lancio. Quella partita, però, non andò per il verso giusto: si giocò in un pantano e lo United vinse a fatica praticando un gioco decisamente scorretto contro una squadra sulla carta più debole. Ma ciò che ferì maggiormente Clough fu il comportamento del collega, che non si presentò prima dell’inizio del match per quello che era un appuntamento quasi sacro nel calcio inglese dei tempi, vale a dire un incontro informale e disteso tra i due manager, e che soprattutto andò via subito dopo il fischio finale risalendo sul pullman in fretta e furia, non degnandolo nemmeno di uno sguardo. La delusione mista a un’innata folle ambizione portò al primo miracolo di Clough in carriera.

LA TEMPESTA – L’annata successiva è quella della svolta. Il Derby si rafforza e ottiene la tanto agognata promozione in prima divisione: Clough si è guadagnato, come minimo, altri due scontri con il Leeds, ma si va oltre ogni più rosea previsione. La prima stagione in quella che successivamente divenne la Premier League è strepitosa e la neopromossa chiude al quarto posto nel 1969-1970, l’anno dopo una sorta di quiete prima della tempesta con un modesto nono posto. La tempesta arriva nel 1971-1972: dopo un cammino inarrestabile il Derby County vince a sorpresa per la prima volta nella propria storia il campionato inglese (bisserà tre anni dopo con Dave Mackay in panchina) e si chiude il primo cerchio per Clough. Ha battuto il Leeds, non nei 90′, ma in un’intera stagione, chiudendo con appena un punto di vantaggio sugli odiati rivali. Si è qualificato per la prima volta in Coppa dei campioni: si apre così un altro capitolo, che coinvolge addirittura il calcio italiano.

L’ATTACCO ALLA JUVENTUS – Nel 1972-1973 il campionato viene un po’ trascurato dagli Arieti, che chiudono soltanto settimi. Clough punta tutto sulla Coppa dei campioni e i risultati del campo gli danno ragione, visto che arriva la qualificazione per le semifinali. L’avversaria è la Juventus, l’ultimo ostacolo prima della finale che il tecnico trentottenne sognava più di ogni altra cosa. Rimase tale, soltanto un sogno, anche perché il doppio confronto con la Vecchia Signora si trasformò ben presto in un incubo. Dopo aver perso all’andata per via di un arbitraggio ritenuto di parte, Brian Clough si lascia andare a delle dichiarazioni pesantissime nei confronti dei bianconeri: “Non voglio parlare con nessun imbroglione bastardo”, disse, rincarando la dose con insulti riguardanti il comportamento dei soldati italiani nella seconda guerra mondiale. In un colpo solo si era iscritto nel lunghissimo elenco di chi aveva e avrebbe fatto della Juventus un nemico, ma si era reso inviso anche a chi come lui odiava, in senso sportivo, la squadra piemontese, vale a dire il resto d’Italia. Al ritorno terminò con un pareggio che sancì l’eliminazione per il Derby (ci fu un’inchiesta dell’Uefa ma la società degli Agnelli ne uscì con un’assoluzione) e la sensazione, mai così sbagliata, che non ci sarebbe stata un’altra occasione in campo europeo.

IL MALEDETTO UNITED – All’inizio della stagione successiva Clough si dimette e lascia il Derby County dopo sei anni magici, spiazzando un po’ i tifosi che non avrebbero voluto vederlo alla guida di un’altra squadra. Si trasferisce al Brighton, che allenerà fino a giugno, prima di compiere uno dei più incredibili e inaspettati “tradimenti” nel mondo del calcio. Anche il Leeds, diventato per la seconda volta campione d’Inghilterra, si era appena ritrovato senza allenatore dopo l’addio forzato da parte di Don Revie, chiamato dalla FA per guidare la nazionale. Lo United chiamò proprio Brian Clough. Sulla panchina più odiata e nel ruolo scomodo del successore del più grande rivale degli anni precedenti. Non poteva funzionare: non funzionò. I calciatori cominciarono ad accusarlo di schierare i più scarsi con lo scopo di sabotare la squadra dall’interno per vederla finalmente retrocedere, i tifosi e gli stessi giocatori erano ancora legati a Revie e avrebbero visto di cattivo occhio qualsiasi sostituto, figurarsi l’uomo che da anni non faceva altro che insultare i Pavoni. Le cose precipitarono e dopo appena quarantaquattro giorni Brian Clough fu sollevato dall’incarico, rescisse il contratto e ottenne una buonuscita e una Mercedes. L’intera vicenda è brillantemente raccontata dal romanzo di Davide Peace “Il maledetto United” e nel film omonimo di Tom Hooper, di cui consigliamo rispettivamente la lettura e la visione. 

L’IMMORTALITA’ – E’ dalle più cocenti sconfitte – e per il manager, ormai quarantenne, era tale – che si possono mettere le basi per i più grandi successi. Brian Clough accetta la panchina del disastrato Nottingham Forest, ripartendo nel 1975 dalla seconda divisione e da un’altra squadra delle Midlands nonché acerrima rivale del “suo” Derby County. La prima parte del cammino è in forte senso di dejavu con quanto fatto vedere a partire da otto anni prima. Nella seconda annata alla guida dei Tricky Trees arriva il terzo posto che vale la promozione in prima divisione, ma Clough ha più esperienza e fame e riesce a costruire immediatamente una macchina perfetta, tanto da vincere subito il campionato, il primo e ultimo nella storia dei Forest. L’impresa, però, stavolta valica i confini nazionali e si concretizza prepotentemente in Coppa dei campioni. Vinse le edizioni del 1979 e 1980 (negli stessi anni arrivarono solo dei piazzamenti in patria) alzando per due volte la coppa dalle grandi orecchie che sembrava essergli sfuggita nel 1973, si prese anche la Supercoppa europea e aggiunse alcuni trofei nazionali come quattro League Cup e una Community Shield nel corso dei diciotto lunghi anni di permanenza ininterrotta alla guida del Nottingham. Un sodalizio che si è chiuso soltanto nel 1993, nel peggiore dei modi, visto che arrivò la retrocessione, che non fu in grado però di cancellare pagine e pagine di storia e alcuni record. Tra questi, vale la pena di citarne uno: il Nottingham Forest è l’unica squadra europea che vanta in bacheca un numero di Coppa dei campioni/Champions League superiore a quello dei campionati nazionali vinti. Potere di Brian Clough, un uomo capace di mettersi in gioco di continuo, spinto dal desiderio che era proprio di Ulisse, quel bisogno innato che è insito in pochi di spingersi oltre ogni confine e di possedere il segreto del mondo. 

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