Amarcord

Calcio e malasanità: vite e carriere spezzate, da Alaimo a Rossi

Italo Alaimo, foto di pubblico dominio

Calcio e salute, mai così acceso il dibattito sul binomio che in tempo di coronavirus sta spaccando l’Italia: riprendere a giocare nonostante l’emergenza sia ben lungi dall’essere definitivamente rientrata, oppure aspettare ancora col rischio concreto di non completare più i campionati bruscamente interrotti ai primi di marzo? La Figc dalla sua può giocarsi la carta del protocollo sanitario stilato dal comitato tecnico-scientifico scelto dalla federazione, ma il Governo non sembra particolarmente convinto e nei prossimi giorni si potrebbe arrivare a una decisione semi-definitiva. Quando in ballo c’è la salute dei calciatori, l’attenzione è sempre ai massimi storici: ma spesso sfugge come nel mondo dello sport, e del calcio in particolare, la salute dei giocatori sia costantemente di fondamentale importanza. In passato, purtroppo, alcuni episodi hanno gettato un’ombra pesante sulla sanità italiana: una serie di morti assurde di interpreti nel pieno della propria attività per via di errori umani dei medici o di semplice sfortuna, casi spesso dimenticati ma che all’epoca dei fatti scossero l’opinione pubblica.

ITALO ALAIMO – Italo Alaimo aveva ormai trovato una certa stabilità nella propria carriera e nell’estate del 1967, a 28 anni, firmò per il Novara in Serie B. Ala di sicuro affidamento dallo spunto scattante e dotato di buon estro, il romano era uno dei cardini della Reggina, ma il 17 luglio era tutto pronto per ufficializzare il trasferimento al club piemontese. Restavano solo da svolgere le visite mediche, che oggi sembrano quasi una formalità e che vengono definite “di rito”: Alaimo si recò all’Ospedale Maggiore e si sottopose a un ECG da sforzo sul cicloergometro. A esame ormai terminato, dopo l’ok dei dottori, il calciatore era pronto a scendere dal macchinario, ma improvvisamente si bloccò di colpo e un urlo lacerante gli sgorgò dalle labbra prima di spirare. Italo Alaimo era appena morto, folgorato per via di un cortocircuito, e a nulla valsero i tentativi di rianimarlo dopo che un infermiere staccò immediatamente i cavi dalla presa. Inevitabile lo sgomento tra l’opinione pubblica, nel frattempo le indagini portarono al rinvio a giudizio non dei medici ma di tre esponenti di spicco della dirigenza della struttura ospedaliera: si scoprì infatti che il decesso di Alaimo fu provocato da una “folgorazione da corrente elettrica determinatasi tra due prese a terra, entrambe in quel momento sotto tensione per effetto di una perdita di energia proveniente da un altro apparecchio elettrico collegato, attraverso l’impianto di riscaldamento, ad uno dei neutri facenti funzione di presa a terra”. In sostanza, un irresponsabile aveva attaccato alla stessa presa il cicloegometro e un termosifone, provocando il cortocircuito e la folgorazione del calciatore, la cui famiglia non riuscì nemmeno ad avere giustizia visto che il processo fu annullato per un vizio di forma per poi arrivare ai termini di prescrizione.

MORTE A PALERMO – Nel periodo tra le due guerre l’Italia era ancora un territorio in cui il livello di efficienza sanitaria acuiva ulteriormente il divario tra nord e sud: il caso e, forse, una dose somministrata nel modo sbagliato, costò la vita al giovane difensore Giuseppe Pirandello. Dopo sei anni vissuti da protagonista tra le fila del Palermo, la squadra della sua città, per via delle ristrettezze economiche del club rosanero fu svenduto al Napoli nel 1926. In due anni riuscì a conquistare anche il nuovo pubblico, ma improvvisamente nel 1928 andò incontro alla morte. In seguito al match Napoli-Lazio, Pirandello si fece visitare da un medico e fu necessario fare un’iniezione endovenosa. Il giocatore, però, fu colto da una sincope mentre il medico stava armeggiando con la propria siringa, in circostanze mai del tutto chiarite. Il quotidiano palermitano L’Ora organizzò un match di beneficenza in memoria dello sfortunato giocatore: la Coppa Pirandello fu giocata, nemmeno a dirlo, a Palermo, dove allo stadio Ranchibile si sfidarono la squadra locale e il Napoli, che vinse.

LEGGEREZZA FATALE – Nove anni dopo un’altra tragedia sconvolse il mondo del calcio. Tutto cominciò il 2 maggio 1937, quando la Cremonese fece visita al Messina per la tredicesima giornata di ritorno di Serie B. Sul finire del primo tempo, lo sfortunato Aristide Rossi, cremonese doc e tra i giovani difensori più interessanti del torneo, fu colpito da un calcio involontario in piena nuca dopo essere finito a terra a causa di una mischia. Fu portato immediatamente all’ospedale della città peloritana e la sua ferita alla testa viene curata. Il dramma, però, si consumerà solo a scoppio ritardato: i medici, infatti, non si erano clamorosamente accorti di una lacerazione ben più seria ai polmoni di Rossi, che il 31 agosto 1937, dunque appena quattro mesi dopo, muore a soli ventitré anni per le complicazioni respiratorie dovute all’imperdonabile leggerezza dei dottori.

IL GIGANTE BUONO – I casi, anche a livello internazionale, non sono pochi, ci limitiamo così a citare l’ultimo episodio del genere, tra i più recenti. È il 1983 ed Enzo Scaini milita da alcuni mesi in Serie C1 tra le fila del Lanerossi Vicenza dopo più di una stagione positiva in Serie B: undici presenze e due gol fino a quel maledetto 16 gennaio in cui si dovette affidare alle rotative la cronaca di una morte per nulla annunciata. Il Vicenza scende in campo a Trento e Scaini rimedia un infortunio gravissimo, la rottura dei legamenti del ginocchio. Bisogna procedere con l’operazione e per lui la stagione è finita. Viene scelto il dottor Perugia, l’uomo indicato dal medico sociale biancorosso, e così il 21 gennaio l’attaccante ventisettenne fu condotto a Roma presso la clinica Villa Bianca per l’intervento chirurgico, che riuscì perfettamente. Appena un’ora dopo, però, Enzo Scaini muore improvvisamente davanti alla moglie, che sconvolta telefona al Vicenza per comunicare la notizia drammatica. Il gigante buono – così veniva simpaticamente chiamato – era deceduto nel modo più assurdo: l’autopsia non chiarì le cause, ma si pensò a un problema di tipo cardiaco.

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