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Il procuratore Alessandro Moggi, figlio del noto Luciano, ex dirigente della Juventus, nel corso di un’intervista rilasciata a ‘Il Foglio Sportivo’, è tornato a parlare dello scandalo di ‘Calciopoli’: “Da un punto di vista umano mi hanno indurito tantissimo. Non credevo più nella giustizia, i danni economici e morali erano evidenti nella misura in cui mi hanno tolto la famiglia e tolto il lavoro a mio padre, l’unico davvero violentato da questo scandalo. Le conseguenze hanno preso corpo nell’amarezza di non poter far rivivere a mio figlio ciò che avevo vissuto io tra squadre, spogliatoi, stadi, calciatori ed emozioni che per un adolescente sono impagabili”.
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L’agente si è detto estremamente felice di portare un cognome così rilevante, anche perché deve molto a suo padre: “Lo porto con orgoglio. Devo tutto a mio padre che, per me, rimane un modello di vita e professionale incredibile. Mi ha insegnato il rispetto e la cultura del lavoro, trasmesso il valore delle persone e degli impegni. Ricordo che sette mesi dopo il mio esame da agente, era il settembre del 1993, vado insieme a lui a vedere qualche match dei Mondiali negli Stati Uniti. A un certo punto, mi chiede di fare una telefonata per lui che finisco per dimenticare: segue una cazziata di frasi violentissime, quella sì, che non potrò scordare mai. Da quel momento, ho capito come si lavora. – ha proseguito il giovane Moggi – Direi che va bene così. Sono contento di ciò che ho fatto, orgoglioso di essermi lasciato alle spalle la tempesta perfetta, felice di rappresentare uno dei più grandi attaccanti in Europa dell’ultimo decennio (Immobile, ndr). Dopo il 2006 ‘avrei potuto accontentarmi, ma è così che si diventa infelici’, frase che ho tatuato sul braccio. Oggi lavoro con la stessa intensità del ’93, vivo in un mondo che ormai è la mia vita. Cerco anzi nuove sfide, degli obiettivi molto più ambiziosi da fissare lungo il mio cammino”.
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