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L’allenatore della Virtus Bologna Aleksandar Djordjevic, intervistato durante il podcast argentino R24, ha parlato della situazione attuale che sta vivendo il basket a causa della pandemia di Covid-19: “Ho deciso di non muovermi da Bologna perché ho sempre del lavoro da fare, anche la mia famiglia è qui con me, stiamo insieme e stiamo bene. Non sono numeri quelli delle persone che stanno morendo ogni giorno e che stanno soffrendo, sono persone che sono in difficoltà. La verità è che dobbiamo fare tutti un grande esame di coscienza: quando usciremo di casa dovremo essere cambiati, più responsabili, anche noi che abbiamo un ruolo preciso all’interno della società. All’inizio mia figlia che studia a Madrid è rimasta lì, poi dopo due settimane, prima che chiudessero tutte le frontiere, è andata a Belgrado e poi è arrivata qui. Mio padre e mio fratello sono a Belgrado, tutti soffriamo questa situazione più grande di noi: viviamo tutti in una pressione quotidiana. Ho alcuni amici e conoscenti che stanno soffrendo, non è facile. La Federazione ha deciso di non assegnare il titolo. Da quando è iniziata la stagione abbiamo fatto molto bene, anche dal punto di vista societario stiamo crescendo, soprattutto in Europa con l’EuroCup. Ricordiamo sempre dove è arrivata la Virtus nel tempo, gli obiettivi che questo club ha raggiunto nella sua storia: il mio è sempre quello di riportare lì questa società, di farla tornare ad essere un club importante come prima. Non importa se ti danno il titolo o meno, non è questo il momento, non è così che noi sportivi vogliamo vincere i titoli. Il titolo che vogliamo venga assegnato è il titolo della normalità, della possibilità che la gente esca. Se c’è da assegnare qualcosa lo facciamo alla gente che lavora negli ospedali, perché è veramente un lavoro molto molto dispendioso.”
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Djordjevic ha anche ricordato l’ultimo Mondiale disputato dalla Serbia: “Siamo arrivati a quella partita stanchi, dopo un viaggio difficile. In più il tutto coincideva con la morte della mamma di un nostro giocatore, per una squadra che era già in difficoltà per alcuni infortuni, soprattutto quello di Teodosic. Non abbiamo avuto il tempo necessario per preparare bene la partita, soprattutto a livello mentale. Fu una partita molto difficile per noi. Sono rimasto però contento per Luis Scola, che secondo me è il giocatore che ha avuto un grandissimo impatto sul basket nella sua carriera, grazie al suo amore e sacrificio per la Nazionale. Quella partita per lui è stata quella che gli ha permesso di entrare nella leggenda: è stata la ciliegina sulla torta per lui, quello che meritava. All’inzio di quella gara l’impatto dell’Argentina è stato devastante: Campazzo, Vildoza, Laprovittola hanno fatto una grandissima partita. Noi abbiamo iniziato con poca energia e poca lucidità nella scelta dei tiri: quello che rimprovero è il fatto di non aver avuto modo di prepararla bene, con il nostro capitano Teodosic che è un giocatore che ha carattere per giocare quel tipo di partite. È stata la mia ultima esperienza con la Nazionale: non ho completato il ciclo, abbiamo tanti giocatori che hanno ancora tanto da dare. Io sono molto attratto dalla Nazionale argentina, una squadra che ha carattere e che rispecchia l’attaccamento al Paese e alla sua storia. Non per niente sono tra i migliori negli sport di squadra, che rappresentano il carattere di un paese, la capacità di uscire bene anche dai momenti negativi.”
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