“Sono andato vicinissimo a togliermi la vita”. Comincia con queste terribili parole la lettera che John Wall ha deciso di rendere pubblica tramite le colonne “The Players’ Tribune”. Il 32enne playmaker è ora pronto a riprendersi il parquet in Nba con la maglia dei Los Angeles Clippers, dopo due anni di inattività per il susseguirsi tragico di eventi. A raccontarlo è proprio Wall: “Nel giro di tre anni sono passato dal portare gli Wizards a una gara-7 contro Boston, sentendomi il re della città, alla rottura del tendine d’Achille, l’infortunio che mi ha tolto la mia valvola di sfogo, il basket”. È solo l’inizio di un vortice negativo: “Un’infezione mi ha portato vicino all’amputazione del piede. Poi ho perso mia madre, che era anche la mia migliore amica, per un tumore al seno. Anche dopo la sua morte, chiamavo il suo numero di cellulare sei o sette volte al giorno, anche solo per sentire la sua voce sulla segreteria telefonica”. Comincia a venir meno anche l’amore per lo sport: “Che senso ha giocare se lei non c’è?”, si chiede. Ad alimentare ancora di più lo sconforto, le voci di una cessione lontano da Washington, che lo spedisce in quello che lui chiama baratro, “un posto così buio che il suicidio mi sembrava l’unica opzione”.
Poi, però, la svolta: John Wall trova la forza di chiedere aiuto (“Farlo ha cambiato la mia vita”), dando il via alla terapia che gli consente di tornare a sentirsi “meglio di come mi son sentito negli ultimi anni”. Riprendendo in mano la propria vita, a partire dalla propria famiglia, e anche la propria carriera: “Sono ancora qui”, sentenzia. Nella lettera, Wall ha anche lanciato un altro messaggio molto importante, dato che purtroppo temi come la depressione sono ancora oggi poco considerati: “Dobbiamo parlarne, perché è ancora un taboo”.