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Ogni tifoso dei Phoenix Suns conosce Robert Sarver, il controverso proprietario della franchigia: sempre critico nei confronti degli allenatori, non è certo uno che tiene le parole per sé, soprattutto se deve rivolgerle a qualche suo “dipendente”. Gli ex giocatori e gli allenatori dei Suns raccontano di casi in cui Sarver stuzzicava gli avversari dal suo solito posto a sedere, e disturbava persino i giocatori dei Suns in panchina o gridava alla panchina di tirare qualcuno fuori dal campo.
Più di dieci anni dopo la squadra del “Seven Seconds o Less” di Mike D’Antoni che ha entusiasmato sia i fan occasionali sia i drogati di basket, i Suns non sembrano avere una direzione visibile. Quella che è stata una delle franchigie più influenti della NBA, una squadra che ha ridefinito il gioco e ha aperto la strada all’innovazione: ora, invece, è una delle squadre più bersagliate del campionato. I periodi di riposo fanno parte del ciclo della maggior parte dei team NBA, ma lo stato di questi Suns è diventato una condizione cronica: si prevede che vinceranno meno di 25 partite per la quarta stagione consecutiva (sono a 17 vittorie con sei partite dalla striscia del traguardo) e non partecipano ai playoff dal 2010, ovvero quasi una decade.
Molte sono le opinioni inerenti la siccità della squadra e le possibili cause di essa: un proprietario interventista con più autorità che competenza e un front-office segnato dall’instabilità sembrano essere le cause regine. Chi ha lavorato per Sarver dice che è molto invadente negli spazi di giocatori e allenatori e fa valere la sua posizione nelle decisioni del personale. Caso in questione: Earl Watson. Dopo che Watson ha sostituito Jeff Hornacek come allenatore ad interim a metà della stagione 2015/2016, i Suns hanno optato per una lunga ricerca di un sostituto permanente, nonostante il fatto che Watson abbia avuto un’intera stagione di esperienza come allenatore in D-League prima di prendere posto sulla panchina di Hornacek.
Diverse fonti sostengono che Sarver sia stato la ragione principale della rapida assunzione di Watson, incalzato dalle sue conversazioni con i veterani a Phoenix. All’epoca, il direttore generale Ryan McDonough fu più cauto. Sarver insiste sul fatto che l’ultima parola sull’acquisizione dei giocatori sia caduta sui suoi dirigenti, e nega di aver scavalcato McDonough o uno dei suoi GM nelle decisioni del personale, incluso Watson, che fu fatto fuori dopo un brutto inizio 0-3 della stagione 2017-18. “C‘è una differenza tra il coinvolgimento nella gestione e far parte del processo, proprio come è diverso fare scelte e dare suggerimenti al draft, o fare raccomandazioni sui free-agent”, afferma Sarver. “In fin dei conti, il direttore generale, insieme allo staff, decide chi abbiamo intenzione di prendere al draft.”
Dopo la partenza di Mike D’Antoni nel 2008, i Suns hanno assunto quattro direttori generali e sette head coach: durante questi undici anni, Sarver è stata l’unica costante a Phoenix. È stato l’unico a prendere decisioni sui dirigenti e ha firmato il contratto di ciascuno degli assistenti tecnici. Chi ha lavorato in dirigenza afferma: il coinvolgimento di Sarver rende difficile lavorare bene.
Quattro anni dopo aver nominato McDonough direttore generale, Sarver ha comprato delle capre vive ad un evento al Talking Stick Resort Arena e le ha piazzate al piano di sopra nell’ufficio di McDonough. La bravata era allo stesso tempo uno scherzo e un messaggio ispiratore: i Suns dovevano trovare un loro G.O.A.T. (“capra” in Inglese, ma anche acronimo di “greatest of all time”, il migliore di sempre).
In molti ammirano il modo in cui McDonough valuta un giocatore, ma le sue scelte nei draft hanno dato pochi risultati: i Suns hanno trovato una gemma in Devin Booker nel 2015, un solido contributo in T.J. Warren nel 2014 e la prima scelta assoluta del 2018 DeAndre Ayton che sta avendo una solida stagione da rookie. I tentativi di circondare di free-agent le loro scelte al draft si sono rivelati disastrosi, dall’accordo quinquennale di Brandon Knight nel 2015 a Eric Bledsoe, che ha forzato la sua uscita da Phoenix la scorsa stagione e che ora è la point guard dei Bucks, squadra col miglior record della lega. I Suns sono passati dall’avere un imbarazzante abbondanza di playmaker (Bledsoe, Knight e Goran Dragic) a non avere nessun titolare in quella posizione: fonti interne riferiscono che l’incapacità di McDonough di riempire quel buco, una necessità che era sotto gli occhi di tutti durante la pre-season, è stata l’ultima goccia per Sarver; sebbene i Suns fossero a soli otto giorni dalla prima palla a due della stagione regolare, McDonough, insieme a quattro membri chiave del front office, si videro recapitati delle lettere di licenziamento.
Per sostituire McDonough, Sarver non si rivolse ad un solo uomo, ma a due: James Jones, che si era ritirato nel 2017 dopo una carriera lunga 14 anni, e Trevor Bukstein, che era stato un abile consulente finanziario e uno stratega sicuro sotto McDonough; in un attimo, nessun posto del front-office fu libero e lo spazio lasciato dallo staff di McDonough era stato riempito.
Più di ogni altra cosa, Jones sarà utile come collante tra front office e giocatori in un franchigia è sempre stata in vigore una netta separazione.
Oltre ai contributi di Jones per rimediare alla questione tra “datori di lavoro e lavoratori”, i Suns hanno recentemente chiuso un nuovo accordo da 230 milioni di dollari con la città di Phoenix per rinnovare l’arena e costruire una nuova struttura di allenamento. Mentre il progetto dovrebbe aiutare il flusso economico dei Suns, rimane comunque un vuoto nella leadership:
i detrattori di Jones riconoscono che abbia svolto bene il suo compito negli spogliatoi, dove i giocatori lo rispettano e hanno quindi accettato i suoi consigli; ma molti hanno dicono che sembra più un consulente o un dirigente in carica dei programmi dei giocatori che un general manager realmente al comando.
Diverse fonti dicono che Jones è spesso assente alle riunioni sulla strategia e sullo scouting, anche quando non è in viaggio. Jones ribatte che la divisione dei poteri è ben definita e ritiene inutile intervenire su questioni che sono state giustamente assegnate a Trevor Bukstein: non sente il bisogno di mostrare a tutti quel finto senso di frenesia e attività che pervade tante dirigenze NBA.
“Si pensa che per essere un GM sia necessario lavorare a tutte le ore e stare sempre connesso al portatile. Non ho mai voluto essere quel tipo di persona”, dice Jones. “Penso che sminuirebbe quello che fa Trevor. Lui è una star quando si tratta di tetto salariale, di pianificare degli scenari, contratti e trattative. È stato eccezionale per tutto il tempo che è stato qui. Abbiamo responsabilità diverse. Il mio obiettivo principale è quello di gestire e migliorare le perfomance e le relazioni fra le diverse realtà che compongono la squadra: i nostri allenatori, il perfomance team, il team di sviluppo”.
Jones è considerato da tutti brillante, ma c’è la sensazione che gli manchi la curiosità o l’ambizione che dovrebbe mostrare un nuovo arrivato. Molte organizzazioni NBA sono danneggiate da persone incapaci che occupano posizioni di comando e credono di poter condurre le operazioni ma non ne sono in grado. I Suns, sia agli occhi di chi è dentro che di chi è fuori dall’organizzazione, con Jones hanno assunto un dirigente che avrebbe le capacità per guidare, ma forse non vuole farlo. “La percezione è che qui perdiamo molte partite, scegliamo continuamente tra i primi cinque al draft e quindi dovremmo concentrarci sullo scouting di ogni giocatore, senza tralasciare nulla”, dice Jones. “Non puoi draftare ragazzi giovani per sempre, se continui a draftare tra i primi cinque è perché i ragazzi che hai scelto non sono bravi, o può essere che siano buoni, ma semplicemente non stai sviluppando i tuoi le loro potenzialità”. Pochi fra i dirigenti e gli scout contattati per questa storia hanno incontrato Jones nel giro dei college, sebbene i Suns abbiano un’altra scelta importante nel draft. Jones dice di aver partecipato a circa 20 partite universitarie, anche se le fonti di Phoenix dicono che sia una stima molto elevata.
Molteplici fonti sostengono che la scelta di chi licenziare nel reparto scouting di Phoenix sia stata basata sui risultati individuali. Gli osservatori le cui previsioni sui giocatori scelti al draft si sono avverate sono stati confermati, e quelli con risultati peggiori licenziati. Oggi Jones dice di avere l’autorità per riempire queste posizioni di scouting, ma ha scelto di tenerle vacanti.
“Una cosa a cui pensare era se le dimensioni del personale di scouting fossero adeguate o meno, se fossero efficienti e produttive”, afferma Jones. “Non basta avere persone che volano in tutto il paese solo per fare presenza. Se si utilizzano maggiormente i video e la tecnologia, non serve necessariamente tanta forza lavoro”. Per Jones, ogni anno in cui il draft è la missione principale dei Suns è un anno in cui il focus dell’organizzazione non è stato il campo.
In giro nella lega qualche dirigente va contro corrente e, sotto voce, è d’accordo con la filosofia di Jones. C’è la convinzione che gli scout tendano ad esaltare troppo il loro stile di vita sempre in viaggio a stare seduti in posti schifosi di palestre universitarie ad osservare il linguaggio del corpo di un potenziale giocatore che sta in panchina. L’idea di Jones di lasciare intenzionalmente vuote le posizioni per lo scouting sminuisce il valore delle informazioni che si possono raccogliere osservando i giocatori dal vivo. In più sembra voler nascondere una verità scomoda: la possibilità che i Suns raggiungano la post season è molto maggiore attraverso lo sviluppo di giovani giocatori scelti da rookie piuttosto che cercando di convincere campioni a raggiungere Phoenix da free agent.
Un paio di mesi fa, una dirigenza NBA si è riunita nella sala conferenze per immaginare le priorità in termini organizzativi delle altre 29 squadre. Le loro valutazioni erano ben definite: gli Atlanta Hawks erano focalizzati sullo sviluppo dei giocatori. I Philadelphia 76ers stavano accelerando il loro processo e inseguendo un titolo. I Clippers erano in un anno di transizione e seguivano più strade contemporaneamente.
Quando è arrivato il momento di identificare gli obiettivi generali dei Suns, il gruppo andò in difficoltà. Anche se il roster di Phoenix avesse cinque giocatori scelti al draft di età inferiore ai 23 anni, la squadra ha acquisito veterani come Trevor Ariza e Jamal Crawford nella free agency e stavano schierando Ryan Anderson titolare. Sebbene nessuno si aspettasse che i Suns lottassero per i playoff e non avevano ancora un playmaker titolare, c’era la voce che stessero inseguendo la post season. Stavano semplicemente preservando lo spazio salariale per la free agency?
Le fonti dicono che lo staff tecnico guidato da Igor Kokoskov è frustrato anche dalla mancanza di una direzione precisa. Nessuno a Phoenix sa dire se Sarver assumerà Jones e Bukstein come team manageriale permanente, o se guarderà altrove per riempire quel ruolo. Se dovesse andare nel secondo modo, il nuovo esecutivo dovrebbe riorganizzare il front office ed espellere quelli che sono sopravvissuti alla purga di ottobre?
L’ampia gamma di scenari ha creato un clima infame, anche se Jones è sicuro che lui e Bukstein lavoreranno in coppia in modo permanente. “So che Trevor e io possiamo portare avanti Phoenix”, dice Jones. Quel front office confuso non ha mai trovato una risposta soddisfacente al piano organizzativo dei Suns. Nel frattempo, a Phoenix, c’è una paura palpabile che nessuno si stia nemmeno ponendo la domanda.