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NBA, Los Angeles Clippers: qual è il peggior problema in vista dei playoffs?

Kawhi Leonard, Paul George e Montrezl Harrell, Los Angeles Clippers Official Facebook Page
Kawhi Leonard, Paul George e Montrezl Harrell, Los Angeles Clippers Official Facebook Page

Ogni squadra NBA ha le sue debolezze, soprattutto in vista dei playoffs: luogo e tempo dove le scelte vengono estremizzate e dove vengono esposti i difetti tanto camuffati dalla regular season. Il periodo più bello della pallacanestro oltreoceano tuttavia sembra ora più lontano che mai: quel 18 aprile potrebbe essere prorogato causa emergenza coronavirus, più accesa che mai in seguito al caso Rudy Gobert. Lo stop di 30 giorni dichiarato dal commissioner Adam Silver porterebbe la stagione a ricominciare il 12 aprile, con l’ultima notte di regular season prevista inizialmente per la notte tra il 14 e il 15 prima dell’inizio dei playoffs proprio sabato 18 aprile. Capire come ristrutturare il calendario sarà l’occupazione principale della NBA durante questa pausa. Pausa durante la quale tutte le squadre penseranno anche ad alcuni accorgimenti in vista della postseason: ecco la situazione dei Los Angeles Clippers.

PROBLEMA: Mancanza di familiarità

Nel caso in cui la banda di Doc Rivers dovesse vincere l’anello, sarebbe un altro duro colpo per la regular season NBA: in fattispecie nei confronti del suo valore e del suo significato. Non bisogna tuttavia fraintendere queste parole: i Clippers stanno avendo un ottimo anno e non lo stanno prendendo sotto gamba, ma sembrerebbe quella corrente un’annata di riscaldamento. Il valore di questa formazione è marcato, ma potrebbe essere stato maggiore se Kawhi Leonard e Paul George avessero deciso di rimanere ai box per un numero minore di partite. L’ex Raptors e l’ex Thunder hanno avuto la possibilità di riposare a comando, mentre il front office ha modellato a suo piacimento il roster con trades e buyout: l’arrivo di Marcus Morris, la partenza di Moe Harkless e Jerome Robinson, il taglio di Isaiah Thomas, l’acquisizione di Joakim Noah e l’ultima firma di Reggie Jackson. Operazioni senz’ombra di dubbio importanti a livello tecnico, ma fatte probabilmente senza tener conto di ciò che possa contare la chimica di squadra. 

L’utilità della regular season, oltre a offrire la qualificazione ai playoffs, sarebbe quella di forgiare le squadre in un contesto relativamente senza pressione per poi farlo arrivare preparato alla postseason: momento dell’anno in cui ogni secondo di ogni partita è una battaglia e in cui non basta spegnere e riaccendere l’interruttore della concentrazione per poter sopravvivere contro avversari tosti; sembrerebbe che i Clippers non abbiano abbracciato il primo criterio, ossia quello di creare una formazione più coesa e costante. Probabilmente Rivers avrà cercato di inculcare un’idea diversa in seguito alla sconfitta patita nel derby losangelino, disputato l’8 marzo e terminato 103-122 in favore dei Lakers: una sconfitta cocente, ma dalla quale la franchigia di Ballmer può imparare tanto. Se prima del derby i Clippers si credevano invincibili, ora hanno la prima chance in stagione per riflettere sul proprio valore: col roster al completo il record registrava 10-0 prima del derby, suggellato dalle roboanti vittorie contro Rockets e Thunder; poi la sconfitta contro i cugini e l’agevole vittoria al Chase Center contro i Warriors.

Il record segna comunque un confortevole 11-1, ma quella singola sconfitta fa più rumore rispetto a ciò che dovrebbe rappresentare quel numero: quella sconfitta fa capire che i Clippers devono arrivare al periodo più tosto dell’anno sufficientemente stressati e consapevoli che ogni partita sarà del tipo “do-or-die”, e per farlo bisognerà adottare quest’approccio anche nelle ultime 18 partite di stagione regolare, cercando di plasmare la chimica di squadra. Con Kawhi Leonard, Paul George e un roster così profondo non si potrebbe proprio accettare che accada il contrario.

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