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NBA, i Lakers ritirano la maglia n.16 di Pau Gasol: “Il merito è di Kobe, è dura non averlo qui con me”

Pau Gasol
Pau Gasol, Lakers (CC BY-SA 3.0)

Nottata importante per i Los Angeles Lakers e i loro tanti tifosi che saranno presenti alla Crypto.com Arena in occasione del match contro i Memphis Grizzlies. Stanotte la franchigia californiana infatti ritirerà la maglia n.16 di Pau Gasol, protagonista di anni indimenticabili a LA e di due titoli vinti nel 2009 e 2010. “Cerco piano piano di realizzare che il mio numero, la mia maglia, sarà lì, assieme a tutte quelle di quegli incredibili campioni, per sempre nella storia del gioco”, dice Gasol, quasi incredulo.

La sua jersey sarà lì in alto, vicino alla 8 e alla 24 di Kobe Bryant: “Finire al suo fianco, vedere il suo nome, lo so che mi emozionerà tantissimo. Si tratta di un momento già molto importante, che la mia storia con Kobe rende ancora più speciale: questi due fattori assieme vanno a formare un cocktail davvero duro da digerire”, ammette il catalano.

L’intesa tra Pau e Kobe è stata alla base dei successi di quegli anni. Proprio l’arrivato del catalano nell’inverno del 2008 trasformò i Lakers da una squadra di metà classifica ad una vera e propria pretendente al titolo. E le tre finali consecutive, di cui due vinte, sono lì a dimostrarlo. Ma il rapporto con Bryant è andato oltre il campo, e oggi Pau e sua moglie sono spesso in compagnia di Vanessa Bryant e delle figlie di Kobe. La mia storia e quella di Kobe sono impossibili da separare, è inevitabile”, dice. “Se il mio numero oggi viene ritirato in gran parte io lo devo a lui: mi ha reso migliore, ci ha reso tutti migliori, su ognuno di noi ha avuto un effetto incredibile. E il fatto che non potrà essere qui con me, con noi, è davvero dura”.

La gara più importante di tutte, senza dubbio, la gara-7 del 2010 che consegnò ai Lakers il titolo sui Celtics, la rivincita della finale persa due anni prima: “Ricordo che quel giorno ero determinato a fare qualsiasi cosa servisse per arrivare alla vittoria. Non avremmo mai permesso a Boston di batterci sul nostro campo e festeggiare il titolo. Non m’importava cosa avrei dovuto fare, non mi importava chi avrei avuto davanti: avrei staccato la testa a chiunque, sentivo di essere diventato un killer, in campo. E questo atteggiamento – conclude Gasol – era lo stesso che Kobe portava in campo ogni singola serata”.

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