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NBA, i Golden State Warriors fan dietro front: non avranno un loro “The Last Dance”

Stephen Curry e Klay Thompson, Golden State Warriors 2018-2019 - Foto Profilo FB Golden State Warriors

Peter Guber è il co-executive chairman dei Golden State Warriors e, inoltre, anche il fondatore di Mandalay Entertainment, la compagnia che ha prodotto il documentario “The Last Dance” sui Chicago Bulls di Michael Jordan. E’ lo stesso Guber ad aver rivelato che una proposta analoga è stata fatta ai suoi Warriors, ma il responso è stato negativo: Gli Warriors hanno deciso di non avere una troupe che li seguisse come i Bulls in quell’anno” ha detto a Mark Medina di USA Today. Il motivo è da ricercare nel fatto che le condizioni delle due squadre erano profondamente diverse: tutti sapevano che quei Bulls si sarebbero sciolti al termine della stagione, rendendola di fatto una “Last Dance”; gli Warriors, invece, erano convinti di poter continuare a vincere ancora a lungo, anche se non è chiaro quando è stata avanzata la proposta (se nell’ultimo anno di Kevin Durant oppure prima ancora).

“Quando fai una cosa del genere, rischi di compromettere il risultato di quello che fai ha detto Guber. “Accendere una telecamera con l’aspettativa di ottenere un certo angolo con una squadra sportiva o con una carriera è una decisione pericolosa. Al limite dell’arroganza. Bisogna lasciare che i vari protagonisti come coach Kerr o Bob Myers creino la cultura, sperando che emerga in qualcosa di unico e di successo. Solo dopo si può tornare indietro e tratteggiarlo con un documentario, piuttosto che dire ‘Accendiamo le telecamere perché vinceremo nove titoli in fila’ o una cosa del genere. Non si può fare, il rischio è troppo alto. La chimica che deve venirsi a creare per vincere è incredibilmente sfuggente: se metti assieme le stesse persone in un anno diverso, può anche non funzionare. La salute gioca un ruolo gigantesco: una distorsione, una rottura di un tendine, una discussione in campo possono cambiare ogni cosa. È quella cosa di quattro lettere che si chiama vita. Ma è anche per questo che i documentari sono così efficaci”.

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