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La deadline del 7 febbraio non sarà una deadline qualunque: due pedine saranno messe in vendita prima di quella data, due pedine che tuttavia sono vere e proprie bandiere dei Memphis Grizzlies. Il front-office dei Grizzlies ha dichiarato in vendita Mike Conley e Marc Gasol, niente di meno che la coppia più longeva momentaneamente in NBA, non in termini di età, ma in termini di partite giocate insieme (634 gare). Ciò non vuol dire che entrambi saranno venduti, ma è un chiaro segnale che il progetto si sposta, accentrando quindi il suo focus su Jaren Jackson Jr. Di conseguenza, si andrà alla ricerca di scelte al draft simili qualitativamente a quella del 2019. Al momento Robert Pera, il proprietario della franchigia, parlando con gli interessati, ha notato una certa riluttanza in questi ultimi per quanto riguarda lasciare Memphis. Il discorso, tuttavia, non è tecnico, né tantomeno romantico, bensì economico: Conley ha un contratto pesantissimo, valevole 67 milioni nei prossimi due anni; Marc Gasol guadagnerà quest’anno 24 milioni e ha un player option di 25 milioni per il prossimo anno, il che vuol dire che l’anno prossimo può accettare (rimanendo) o rifiutare (ascoltando altre offerte) quei soldi prefissati. La loro vendita significherebbe ripartire da zero, dopo aver disputato i playoff per sette volte di fila fino al 2018.
Quando nel 2012 Robert Pera li comprò da Micheal Heisley, l’idea era di rinfrescare totalmente un ambiente che pochissime gioie aveva regalato nei precedenti 15 anni. I due protagonisti arrivano pochi anni prima: come quarta scelta del draft 2007 Mike Conley e in una trade a inizio 2008 Marc Gasol (nella quale i Grizzlies, scambiando il fratello Pau, ottengono Kwame Brown, Aaron McKie e le prime scelte del 2008 e del 2010). Nel gennaio 2009 arriva Lionel Hollins, il collante di tutta la storia.
Nessuno avrebbe mai immaginato che la banda di Hollins, dopo una stagione di transizione nel 2010, una semifinale di Conference nel 2011 e una gara 7 persa al primo turno, avrebbe mai fatto la stagione della vita, vincendone 56 in regular season e arrivando ad un soffio (rappresentato dalla sweep subito dagli Spurs nelle finali di Conference) dalle Finals con gli Heat dei Big Three. Anche se le gare centrali contro gli Spurs, a dirla tutta, si sono risolte solo all’overtime.
Quella stagione sopra le righe creò una probabile rivoluzione e consacrò definitivamente il “Grit & Grind”: stile di gioco basato sull’uso continuativo e quasi ossessivo del post basso e della difesa come cardine, sopra il quale far ruotare tutto il funzionamento della squadra, della franchigia e della città intera. I Grizzlies giocavano effettivamente come l’animale da cui prendono il nome: le versioni antropomorfizzate dell’animale erano Marc Gasol e, soprattutto, Zach Randolph. Oggi questo tipo di basket è stato spazzato dalla ventata della small ball, ma al tempo, paradossalmente, una partita dei Grizzlies doveva essere quanto più possibile brutta (secondo i canoni moderni) affinché loro potessero vincere. Il loro obiettivo non era giocare bene o meglio degli avversari, quanto piuttosto farli giocare male, rendere ogni partita una battaglia di intensità, nervi e agonismo
Andato in pensione forzata “ZBo”, oggi in quella squadra non è rimasto praticamente nessuno: solo, per l’appunto, gli onnipresenti Marc Gasol e Mike Conley. Proprio i due che da oggi per la dirigenza sono ufficialmente sul mercato. L’epilogo era inevitabile: Memphis aveva sorpreso tutti replicando anche in questa stagione la partenza razzo della passata annata: se nel 2018 erano stati gli infortuni e qualche screzio tra Fizdale e Gasol a riportare i Grizzlies nelle zone basse di competenza (attivando poi la tanking mode), quest’anno è stato il naturale corso degli eventi a ristabilire le gerarchie cestistiche. Un ciclo, se così si può chiamare, è decisamente finito. Come già ribadito per ripartire c’è una grossa necessità di ringiovanire e ricominciare a draftare, facendolo bene.
Jaren Jackson JR, vera e propria sorpresa di questa prima parte di stagione, è il primo frutto della pesca estiva, che mancava a Memphis da 10 anni a questa parte. Si deve tornare al 2008, con quel Kevin Love alla fifth pick, poi subito scambiato (decisione sbagliata, ma troppo facile fare i visionari del giorno dopo) con i T’Wolves per OJ Mayo (per vedere qualcosa di buono). JJJ è di fatto l’unico prospetto su cui pensare di poter costruire un futuro. Perchè al di là dell’onesto Anderson, di J-Green e del promettente Dillon Brooks (di cui avrete sentito parlare di recente per la storia della trade saltata coi Wizards) non sembra esserci tantissimo su cui lavorare.
Perdere e perderemo il primo imperativo. Racimolare quanto più materiale possibile dai due giocatori franchigia, il secondo. Ma quanto può essere fattibile ad oggi? Marc Gasol è un centro moderno perfetto, non è più nel fiore degli anni, ma è quel tipo di giocatore multidimensionale che farebbe comodo a chiunque. Unico problema? Una player option per la prossima stagione che lo rende di fatto un rischio non necessario da correre. Pochi lo correrebbero: i Lakers, forse, se non fossero convinti d’essere già competitivi e sacrificassero dei giovincelli; oppure i Knicks se volessero rischiare l’harakiri.
Discorso simile, ma straordinariamente più complesso a livello salariale, per Mike Conley: per 96 milioni di motivi, che sono i soldi che l’ex giocatore più pagato dell’NBA percepirà da qui al 2021.
Difficile prevedere come andrà a finire. Possibile che Gasol venga (s)venduto a fil di deadline, ma anche che resti e decida di non uscire dal contratto (perché 25 milioni rimangono tali, e pochi glieli possono offrire). Conley sembra invece cementato alla franchigia a causa del suo contratto: alla fine averlo come “guida” dei futuri Grizzlies, più giovani e proiettati verso la pallacanestro del futuro, potrebbe non essere esattamente una brutta cosa.
Quel Grit&Grind che ha entusiasmato per pochi anni la lega è ormai morto e sepolto. E non tornerà. Ma i Grizzlies stanno già pensando a come risorgere.