I Golden State Warriors sono campioni Nba per la stagione 2021/2022. Il settimo titolo della loro storia, ma soprattutto il quarto negli ultimi otto anni, dopo una gara 6 che è stata la più classica di quelle sfide in cui l’esito lo si sarebbe potuto desumere anche solamente guardando le espressioni e i volti dei giocatori nel riscaldamento. D’altronde il fattore esperienza era tutto a favore degli uomini di Steve Kerr, contro una versione dei Boston Celtics giovane, talentuosa e ben allenata, ma pur sempre per la prima volta catapultata sul palcoscenico più grande.
Eppure per Golden State si tratta di un titolo Nba profondamente diverso rispetto a quelli del 2015, 2017 e 2018. Sotto certi punti di vista il più importante, quello che permette di silenziare anche i pochi scettici rimasti, sull’impatto che questa franchigia avuto sull’NBA moderna. Perchè se il trionfo del 2015 poteva effettivamente sembrare l’inizio di una dinastia, quanto successo dopo ha fatto storcere un pò il naso all’interno della lega, ma in particolar modo fuori: troppo prevedibili i trionfi del 2017 e 2018 se ad una squadra già così forte si aggiunge da free agent Kevin Durant. Nel mezzo anche la clamorosa rimonta subita dai Cavs nel 2016 e la sconfitta, sempre da favorita, ma condizionata dagli infortuni di Thompson e dello stesso Durant, nel 2019 contro i Raptors. Insomma, se da un lato i tre titoli erano lì in bacheca, dall’altro qualche obiezione poteva anche essere riconosciuta. Per entrare in maniera chiara ed inequivocabile ancor di più nella storia bisognava fare di meglio, come Kobe che vince senza Shaq, come LeBron che vince il titolo a Cleveland dopo aver lasciato la Miami dei “big three”.
E difatti il vero capolavoro in California lo fanno proprio a partire dall’immediato post-sconfitta del 2019 contro Toronto: pochi giorni dopo Durant saluta tutti e va a Brooklyn; Klay Thompson è vittima di una rottura del crociato e ad essa ci aggiungerà successivamente anche il tendine d’achille; Curry e Green iniziano ad avere anche loro acciacchi fisici vari. Improvvisamente Kerr si ritrova dall’allenare una delle squadre più forti della storia NBA a lottare per le ultime posizioni e una migliore scelta al draft. Qui gli Warriors tutti, dagli insoddisfatti Curry e Green alla proprietà che pagava centinaia di milioni in contratti, hanno però il grande merito di non entrare mai in panic mode, accettando con pazienza la situazione, gli infortuni e le sconfitte senza tentare qualche grande colpo di teatro nella speranza di riuscire a velocizzare il processo di ricostruzione. Decidono di avere fiducia che Klay Thompson possa tornare un giocatore di impatto nonostante due infortuni tremendi e più di due anni di stop, che Andrew Wiggins possa trasformarsi da stella mancata della lega a role player di lusso, che Curry e Green ritrovino le motivazioni per tentare un altro colpaccio.
16 Giugno 2022: i Golden State Warriors hanno avuto ragione su tutta la linea. Ed ha avuto ragione anche Steph Curry, che a 34 anni si prende il suo meritatissimo primo MVP delle Finals dopo una serie giocata da campione generazionale quale è. Questa volta nessuna difesa di Iguodala o canestro di Durant poteva toglierglielo: Steph Curry dal primo all’ultimo minuto di queste Finali è stato il trascinatore, l’anima e anche qualcos’altro per questi Warriors.