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NBA 2018/2019: cadono tutte le big, Milwaukee vince con Antetokounmpo e Middleton

Giannis Antetokounmpo, Milwaukee Bucks 2017-2018 - Foto Keith Allison CC BY-SA 2.0

La notte italiana tra sabato 23 e domenica 24 febbraio ha visto in scena lo svolgersi di dodici partite della regular season NBA 2018/2019. Season-high di partite, in una notte colma di sorprese. Cadono i Golden State Warriors sotto i colpi degli Houston Rockets privi di Harden, guidati da Chris Paul. Sconfitte anche per Oklahoma e Lakers, rispettivamente contro Sacramento e New Orleans. Impronosticabile la sconfitta di Boston in casa di Chicago, soprattutto dopo l’ultimo precedente tra le due squadre finito 77-133. L’unica “big” che tiene il passo è Milwaukee, guidata da Antetokounmpo e Middleton. Le migliori prestazioni della notte sono tre: i 42 di Zach LaVine, i 40 di D’Angelo Russell e i 34 di Buddy Hield

Portland Trail Blazers-Philadelphia 76ers 130-115

I Sixers partono con Boban Marjanovic a centro area al posto dell’infortunato Joel Embiid. Partono in quinta i migliori: 10 dei primi 12 punti per entrambe le squadre arrivano dalle coppie Simmons-Butler da una parte e Lillard-McCollum dall’altra, col punteggio in equilibrio a metà primo quarto (12-12). Buono l’impatto di Rodney Hood dalla panchina per gli ospiti, panchina da cui esce anche Enes Kanter, l’ultimo ad aggiungersi al roster di Terry Stotts. Portland chiude davanti il primo quarto (27-25) nonostante tiri 0 su 7 da tre punti, sfruttando i sei rimbalzi d’attacco (contro gli zero di Philadelphia) che gli garantiscono otto tiri in più. I Sixers mettono la testa davanti in avvio di secondo quarto, ma i Blazers reagiscono con due super giocate di Jake Layman, che va a schiacciare in maniera spettacolare da una parte e stoppa niente meno che Jimmy Butler dall’altra. Per Philadelphia è allora il turno di Tobias Harris, che allunga le sue mani sulla partita mandando a segno nove punti in fila e dando ai suoi il +6 (39-45). Proprio l’ex Clippers e Ben Simmons sono i due giocatori di coach Brett Brown in doppia cifra al termine del secondo quarto (scrive 13 il primo, con un ottimo 5 su 8 al tiro, ne aggiunge 12 con anche 6 assist il secondo), mentre Portland va all’intervallo sopra di tre, 59-56, continuando a dominare sotto i tabelloni, dove i Sixers pagano tantissimo l’assenza di Embiid (32-17 il bilancio, con 14 palloni catturati a rimbalzo d’attacco). Per la squadra dell’Oregon ci sono già tre giocatori in doppia cifra: Al Farouq Aminu a quota 13, Jusuf Nurkic con 12 e 8 rimbalzi e il solito Damian Lillard a 10 con 6 assist.

In apertura di secondo tempo sale alla ribalta Maurice Harkless: l’ala dei Blazers firma tre canestri pesantissimi in un parziale di 12-2 che sembra spaccare in due la partita; al resto ci pensa Nurkic, che spadroneggia in mezzo all’area e raggiunge già il 20+10 a metà del terzo quarto. Il vantaggio degli ospiti si dilata fino al +20 (89-69 a 4:49 dalla fine del terzo periodo): il pubblico di Philadelphia non la prende bene, accompagnando coi fischi la deludente prestazione dei propri giocatori dopo la pausa di metà gara. Il conto dei rimbalzi offensivi (17-4 per Portland) continua a fare la differenza ma a deludere è anche l’intensità difensiva dei Sixers, che concedono troppi canestri facili ai Blazers che hanno già tutto il quintetto in doppia cifra. Nei primi minuti dell’ultimo quarto c’è l’ultimo sussulto che potrebbe cambiare l’inerzia della gara, quando dopo un canestro di Simmons, che batte senza troppi problemi Kanter, tra il numero 25 dei 76ers (spalleggiato da Mike Scott) e il turco nasce uno screzio che gli arbitri regolano immediatamente con un doppio tecnico. Non serve neanche questo però a dare una scossa agli uomini di Brett Brown, che nonostante un Simmons da 29 punti, 10 rimbalzi e 7 assist e i 20 con 8 rimbalzi di Harris alzano bandiera bianca e incassano la prima sconfitta dopo l’All-Star break.  Portland consolida la sua quarta posizione a Ovest con la terza vittoria fila, grazie ai 24 punti e 10 rimbalzi con 9/13 al tiro di Nurkic, ai 17 di Lillard e ai 15 a testa di CJ McCollum e Al-Farouq Aminu. Impietosa anche sul referto finale la differenza a rimbalzo tra le due squadre: 53-32 per gli ospiti il conto finale, che in attacco ne catturano la bellezza di 19 (che contribuiscono ai 99 tiri tentati in serata, contro gli 87 dei Sixers). Prossima partita: martedì notte alla Quicken Loans Arena di Cleveland.

Per quanto riguarda Philadelphia (38-22), Boston è ormai negli specchietti retrovisori (37-23), seppur anche i verdi abbiano perso pacchianamente questa notte. Da segnalare l’1 su 10 dal campo di JJ Redick, che ha terminato con 7 punti in 30 minuti sul parquet. Prossima partita: martedì notte allo Smoothie King Center di New Orleans.

Houston Rockets-Golden State Warriors 118-112

Se c’è una costante all’interno stagione dei Golden State Warriors, è decisamente la serie di sconfitte interne contro le grandi squadre da playoff. I campioni in carica hanno perso l’ottava partita alla Oracle Arena contro una “big”, subendo la seconda sconfitta per mano degli Houston Rockets (contro i quali sono 3-0 nella season-series) Un’impresa che era già riuscita alle varie contender dell’Est (Milwaukee, Toronto e Philadelphia) ma anche a Oklahoma City, Portland e Los Angeles Lakers, oltre che ai texani. La differenza rispetto alle altre volte è l’assenza di James Harden, tenuto fermo dall’influenza e da un dolore al collo sul quale avrebbe probabilmente potuto giocare se fosse stata una partita di playoff. Al suo posto è stato schierato Kenneth Faried per una strutturazione più “canonica” del quintetto base, fatto da Chris Paul ed Eric Gordon. il primo ha chiuso con il suo massimo stagionale per assist con 17 (superata quota 9.000 in carriera) a cui ha aggiunto anche 23 punti; il secondo è stato il miglior realizzatore degli ospiti con 25 punti e quattro triple, seguito dai 20 di Faried e dai 18+10 di PJ Tucker. A sorprendere è soprattutto l’autorità con cui Houston si è presa questa vittoria: a parte un breve momento a inizio secondo tempo in cui gli Warriors sono riusciti a mettere la testa avanti tre volte, i texani hanno controllato l’andamento del match rimanendo sempre avanti e resistendo a tutte le spallate dei campioni in una vittoria meno emozionante rispetto a quella precedente alla Oracle Arena, ma di una solidità impressionante.

Per gli Warriors oltre al danno della sconfitta c’è la beffa dell’infortunio a Draymond Green, uscito nel corso dell’ultimo quarto per una distorsione alla caviglia di cui Steve Kerr non si è accorto pur avendolo letteralmente sotto i suoi occhi, in una delle scene più surreali della stagione. “Non dovrebbe essere nulla di serio” sono state le parole dell’allenatore dopo la gara, ma c’è la possibilità che il numero 23 salti il mini-tour a Est di quattro gare che attende i campioni in carica la prossima settimana. Ci sarà senz’altro qualche ragionamento da fare in casa Golden State, perché nonostante i tre tenori Durant, Curry e Thompson abbiano chiuso tutti sopra quota 20 (rispettivamente 29, 25 e 20) e DeMarcus Cousins abbia realizzato la sua terza doppia-doppia in fila (13 punti e 14 rimbalzi), non sono comunque riusciti a rimontare gli avversari, finendo sotto anche di 20 lunghezze nel corso del primo tempo (50-30 a 5:39 dall’intervallo, causato principalmente dal 15-0 dei minuti iniziali) e pagando un inizio di partita da 9 su 32 al tiro di cui 3 su 12 dalla lunga distanza. Se non altro, è pur sempre regular season: c’è da scommettere che ai playoff l’impegno e la concentrazione di Curry e soci sarà ben più alta contro un avversario privo del proprio miglior giocatore. Ciò è esattamente quello che si aspetta Chris Paul: “Si può venire qui e vincere un lunedì sera di febbraio o un giovedì di novembre o dicembre, ma nei playoff bisognerà batterli quattro volte su sette. La vittoria di stasera è ottima, ma tra due giorni ce ne saremo già tutti dimenticati”. I Rockets sono sul 2-2 in questa stagione senza Harden, dopo aver terminato la scorsa stagione con un record di 6-4. Mostruosa la predominanza stanotte a rimbalzo per gli uomini di D’Antoni, che outscorano i Warriors per 48-26. Prossima partita: martedì notte, in casa contro gli Atlanta Hawks.

Termina la serie di cinque vittorie consecutive in casa per i Warriors. Si è arrivati questa notte addirittura a 17 palle perse (tra cui 6 di Cousins): inqualificabili per una squadra che ha uno dei ratio assist/turnovers più alti della lega. Prossima partita: martedì notte allo Spectrum Center di Charlotte.

Los Angeles Lakers-New Orleans Pelicans 115-128

I Lakers vengono meritatamente coperti di fischi. Non solo da parte di un pubblico convinto che nella rottura tra Anthony Davis e i Pelicans ci sia lo zampino di LeBron James; anche i tifosi Lakers, arrivati nella città della Louisiana con la maglia gialloviola e convinti di godersi una vittoria in grado di dare continuità ai risultati, hanno contribuito alla “standing-booation”. Nonostante il “monociglio” in panchina NOLA spazza via i Lakers dal parquet e domina a lungo una partita mai in discussione nell’ultima mezz’ora. A trascinare i Pelicans ci pensa Jrue Holiday, autore di 27 punti, sette assist e cinque triple, a cui si aggiungono i 24 dell’ex Julius Randle, dal dente avvelenato: “Non è una questione personale”, dice, “visto che dall’altra parte ci sono molte persone, allenatori e compagni ai quali voglio bene. Ma vincere contro la squadra che ti ha scaricato è sempre molto divertente”. Difficile dargli torto, visto che l’ennesimo KO di questa regular season mette non poco i bastoni tra le ruote alla complicata rincorsa alla post-season dei gialloviola: “L’urgenza di riuscire a non sbagliare, di essere presenti a noi stessi, non deve accompagnare il nostro approccio soltanto nelle due ore prima della partita” racconta James, autore di 27 punti, 12 assist e sette rimbalzi del tutto inutili ai fini del risultato, “quello che fa la differenza è l’approccio quotidiano, in palestra e nella preparazione giornaliera. Vinci le partite se riesci a essere il migliore prima di scendere in campo”. Un modo indiretto per dire “adesso non accetto più deviazioni, neanche in allenamento” a un gruppo che fa fatica a stargli dietro: Brandon Ingram chiude con 29 punti, ma è evidente che il problema per una squadra che tira con oltre il 54% dal campo complessivo non sia di certo l’attacco. La gestione del pallone (23 palle perse che hanno “regalato” 23 punti a New Orleans) e la difesa restano degli enormi punti deboli di un ingranaggio che non vuol saperne di funzionare.

Tutti sognavano lo scontro tra Davis e i tanti giocatori coinvolti in una sua possibile trade nelle scorse settimane, con LeBron magari preoccupato di non fargli male in vista di un probabile futuro in maglia Lakers da preservare. Speculazioni a cui i Pelicans hanno preferito sottrarsi, consapevoli di non incorrere in nessun tipo di penalità visto che la sfida contro i giallo-viola era la seconda di un back-to-back, in casa e non diretta TV nazionale. Insomma, in una situazione “normale”, la “classica” partita in cui far rifiatare la propria star. Peccato che questa scelta non sia passata inosservata, nonostante coach Gentry provi a spiegarsi in ogni modo: “Voler leggere tra le righe il fatto che Davis sia rimasto a riposo “perché giocavamo contro i Lakers”, vuol dire non aver capito come stanno le cose. Visto il calendario, sarebbe accaduto lo stesso anche se avessimo incontrato i Baltimore Claws [storica squadra di basket di metà anni ’70 che fece una breve e perdente apparizione sui parquet della ABA].” E a chi sottolinea un gusto speciale e un po’ sadico nell’aver battuto i Lakers, Gentry replica stizzito: “Dannazione no, non c’è nulla di tutto questo. È una partita di regular season, una delle 82 che ogni stagione ci tocca affrontare. Non c’è nulla di speciale, anche perché tutto quello che succede fuori dal parquet non importa quando sei in campo”. Sarà, ma a guardare i sorrisetti dei suoi ragazzi a fine gara (prontamente colti dalle telecamere) non si direbbe.

I Pelicans hanno tirato col 52.1%, in una notte dove la loro panchina ha outscorato quella dei Lakers per 24-42. Perfetta la prestazione di Cheick Diallo: 8 su 8 dal campo valido per 18 punti, ai quali si aggiungono 10 rimbalzi; da segnalare anche due stoppate inferte al ferro ai danni di Ingram. Prossima partita: martedì notte in casa contro i Philadelphia 76ers. Al 54.3% dal campo è stato accompagnato un onesto 34.5% dal perimetro per i Lakers, che tuttavia son crollati per motivi già accennati. Kuzma e McGee hanno messo a referto rispettivamente 16 e 10 punti. Prossima partita: martedì notte al FedExForum di Memphis.

Boston Celtics-Chicago Bulls 116-126

L’ultima volta che si erano affrontate Chicago e Boston, i Bulls erano usciti dal campo con la peggior sconfitta nella storia della franchigia, un 77-133 dai contorni imbarazzanti. Le cose sono cambiate, eccome se lo sono: grazie ai massimi in carriera da 42 punti di Zach LaVine e da 35 con 15 rimbalzi di Lauri Markkanen, la squadra di coach Boylen è riuscita a vendicare quella sconfitta in grande stile. LaVine e Markkanen sono la prima coppia di Bulls a segnarne 35 o più nella stessa partita addirittura da Michael Jordan e Scottie Pippen nel 1996, quando entrambe le leggende ne segnarono 37 contro Phoenix (il commento di LaVine, con molta autostima: “Ne avremo ancora molte altre così”). Merito di un parziale da 3-18 nel corso del secondo quarto che ha ribaltato la partita, aumentando il vantaggio nel terzo quarto e resistendo a tutti i tentativi di rimonta dei Celtics nell’ultima frazione di gioco. Per i biancoverdi l’ultimo ad arrendersi è stato Kyrie Irving, autore di 37 punti e 10 assist, ma senza riuscire a evitare la quarta sconfitta nelle ultime sei gare. “Preoccupato in ottica playoff? No.” ha risposto seccamente quando interpellato dopo il match. “Perché ci sono qui io”. Ancora nulla per quanto riguarda gli aggiornamenti della condizione di Otto Porter Jr, ancora ai box stanotte a causa di un stiramento alla gamba. I Bulls hanno dominato i Celtics a rimbalzo per 32-49 e segnato 20 dei 21 liberi tentati. Prossima partita: martedì notte, in casa contro i Milwaukee Bucks.

Quarta sconfitte nelle ultime sei uscite per i Celtics (37-23), che non approfittano della sconfitta di Philadelphia (38-22) contro Portland. Prossima partita: mercoledì notte, alla Scotiabank Arena di Toronto.

Sacramento Kings-Oklahoma City Thunder 119-116

È raro che sia la squadra in trasferta a essere più riposata rispetto a quella che gioca in casa, eppure è quello che è successo tra OKC e Sacramento, per via del doppio supplementare dei Thunder giusto 24 ore prima di questa sfida. I californiani ne hanno approfittato, cavalcando un grande Buddy Hield che ha realizzato 34 punti con 12 su 22 dal campo, mettendo a ferro e fuoco una grande difesa come quella dei Thunder. “È una vittoria importantissima perché Russ e PG stanno giocando alla grande. Siamo stati resilienti” ha detto il numero 24 dei Kings, graziati dall’errore sulla sirena di Paul George che ha trovato a malapena il ferro sul tiro che avrebbe potuto dare la parità ai suoi, forzando l’ennesimo supplementare. Per una volta George non ha giocato in maniera straordinaria, chiudendo con 14 punti e tirando solo 4 su 19 dal campo; non è bastato neanche lo sforzo extra di Westbrook, autore di 41 punti per la terza partita in fila a cui ha aggiunto anche 10 rimbalzi, ma soli 4 assist contro 7 palle perse, di cui una decisiva commettendo sfondamento su Willie Cauley-Stein a 11.5 secondi dalla fine dopo aver pareggiato a quota 116 poco prima. Il numero 0 però non ha voluto fare polemica dopo la gara: “Era sfondamento, così hanno chiamato e così è. Non sono io ad arbitrare. È andata così”.

Sia De’Aaron Fox che Marvin Bagley III danno il loro contributo con 19 punti a testa. I Kings (31-28) accorciano a una partita e mezza il divario tra loro e i Clippers ottavi (33-27). Prossima partita: martedì notte al Target Center di Minneapolis. Tredicesimo tecnico in stagione per Russell Westbrook: altri tre e scatta la squalifica per una partita. Dopo aver terminato sabato notte senza punti nel suo debutto, Markieff Morris termina con 10 punti a referto. Prossima partita: mercoledì notte, al Pepsi Center di Denver.

Minnesota T’Wolves-Milwaukee Bucks 128-140

I Bucks si confermano la migliore squadra NBA per forma, trascinata dalla coppia di All-Star a disposizione di coach Budenholzer; è proprio il coach l’artefice del rilancio di un gruppo che travolge qualsiasi avversario e che adesso sembra non volersi più fermare. Giannis Antetokounmpo chiude con 27 punti e 10 rimbalzi la solita gara piena zeppa di giocate e atletismo, a cui si aggiungono i 28 punti di un ispirato Khris Middleton da 10 su 18 dal campo e quattro triple. Milwaukee conquista così la decima delle ultime 11 partite giocate, la sedicesima delle ultime 18, salendo ben 31 gare oltre la soglia del 50% di vittorie (perdendo le prossime 30 partite, che in realtà sono soltanto 23, comunque i Bucks avrebbero conquistato più successi che sconfitte); con la vittoria contro Minnesota, Milwaukee ha già superato il totale raccolto la scorsa regular season. Una vera e propria corazzata, che ha dovuto aspettare il quarto periodo per sbarazzarsi dei T’Wolves, rimasti aggrappati al match fino al 113-113: da lì in poi 2-16 di parziale Bucks e gara chiusa, a coronamento di una quarta frazione da 19-33 che condanna Minnesota alla prima sconfitta degli ultimi quattro anni senza Karl-Anthony Towns (ancora alle prese con i problemi post-incidente stradale di tre giorni fa).

Quinta volta in stagione in cui i Bucks raggiungono 140 punti a referto (5-0 il record in queste partite): prima di questa stagione, le partite da 140 punti sono state solo quattro in 30 stagioni. Costretto a uscire dalla partita George Hill, colpito da uno stiramento all’adduttore all’interno del primo tempo. Prossima partita: martedì notte, allo United Center di Chicago.
Senza il centro titolare (reduce da 303 partenze consecutive in quintetto) il migliore per i lupi è Derrick Rose, con 23 punti a referto, mentre Taj Gibson mette in essere un season-high da 20 punti. Da segnalare una stoppata di Tulliver ai danni di Giannis Antetokounmpo (da vedere e rivedere). Prossima partita: martedì notte in casa, contro i Sacramento Kings.

Altre dai campi

Vittoria importante degli Indiana Pacers, che allungano sulle dirette rivali per la terza posizione della Eastern Conference, grazie alla vittoria 119-112 gli Washington Wizards con un Thaddeus Young da 22 punti. Sorridono dunque gli uomini di coach McMillan a causa delle sconfitte di Philadelphia contro Portland e di Boston contro Chicago. Un D’Angelo Russell da 40 punti trascina alla vittoria i Brooklyn Nets contro gli Charlotte Hornets: è lo stesso playmaker ad infilare la tripla del definitivo sorpasso (con il “ghiaccio nelle vene” come direbbe lui) per il 117-115 finale in uno scontro diretto per i playoff. Restando sempre ad Est netta, vi è una netta vittoria dei Detroit Pistons sui Miami Heat per 119-96, grazie ai 22 punti di Ish Smith. Vincono anche gli Atlanta Hawks (112-120 contro i Phoenix Suns, 23 punti di Trae Young) e i Cleveland Cavaliers (107-112 contro i Memphis Grizzlies, 32 punti di Kevin Love).

Tutto facile per gli Utah Jazz contro i Dallas Mavericks, sempre privi di Luka Doncic: 109-125 il punteggio finale con 25 punti a testa per Ricky Rubio e Donovan Mitchell.

Tutti i risultati della notte tra sabato 23 e domenica 24

Portland Trail Blazers-Philadelphia 76ers 130-115
Houston Rockets-Golden State Warriors 112-118
Los Angeles Lakers-New Orleans Pelicans 115-128
Boston Celtics-Chicago Bulls 116-126
Sacramento Kings-Oklahoma City Thunder 119-116
Minnesota T’Wolves-Milwaukee Bucks 128-140
Indiana Pacers-Washington Wizards 119-112
Brooklyn Nets-Charlotte Hornets 117-115
Detroit Pistons-Miami Heat 119-96
Phoenix Suns-Atlanta Hawks 112-120
Memphis Grizzlies-Cleveland Cavs 107-112
Dallas Mavericks-Utah Jazz 109-125

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