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NBA 2018/2019: 58 punti per Harden, doppio tonfo per Warriors e Nuggets

James Harden - Foto Keith Allison CC BY-SA 2.0

La notte italiana di venerdì 1 marzo ha visto in scena lo svolgersi di sei partite della regular season NBA 2018/2019. La copertina non può non prendersela James Harden che, dopo un filotto di partite non eclatanti (per i suoi livelli ovviamente, dato che ha sempre navigato attorno al trentello) stampa 58 punti e 10 assist, con buone percentuali dal campo. Golden State e Denver non approfittano delle sconfitte altrui: i primi (senza Durant) sprecano nel quarto quarto il vantaggio guadagnato in 36 minuti contro i Magic; i secondi, anche a causa di uno Jokic limitato dai falli, non trovano mai il bandolo della matassa contro i Jazz. I Philadelphia 76ers rompono una streak negativa ormai decennale nei confronti dei Thunder (senza George), sconfitti questa notte grazie alle ottime prestazioni di Harris e Simmons.

LE CLASSIFICHE AGGIORNATE

Miami Heat-Houston Rockets 118-121

Una gara d’assenza causa infortunio vinta contro Golden State e due sfide incolore al tiro (chiuse comunque con 28 e 30 punti) avevano illuso i Rockets di potercela fare anche senza di lui. Poi, nel momento del bisogno, James Harden ha indossato di nuovo i panni di Superman, regalando al pubblico di Houston l’ennesimo imperdibile spettacolo di questa regular season da incorniciare. Il “Barba” trascina i padroni di casa nella sfida contro Miami, rimonta da solo o quasi le 21 lunghezze di svantaggio accumulate nel terzo quarto (82-61 a 8:44 dal suo termine) e chiude con 58 punti, 10 assist, 7 rimbalzi, 8 triple e 4 recuperi una gara che sembrava persa. Per Harden è la sesta partita stagionale oltre quota 50: leader assoluto in NBA, con gli altri otto giocatori in grado di riuscirci quest’anno che ne hanno messa a referto al massimo una. “Non mi sono mai preoccupato più di tanto del fatto che il mio tiro vada dentro oppure non trovi il fondo della retina”, commenta il numero 13 dei Rockets, “l’importante è continuare a prendere le conclusioni su cui sto lavorando da tempo. Con quelle ci sono più speranze di portare a casa dei punti: poi posso chiudere con 2 su 30 dal campo una volta o con 15 su 30 l’altra, ma continuerò a pensare che quelli sono i tiri che devo prendere”. Per il Barba è la settima gara in carriera con almeno 50 punti e dieci assist, più del doppio di quanto fatto da ogni altro giocatore nella storia NBA. Un vero e proprio marchio di fabbrica che lo ha portato a raccogliere il cinquantello numero 14 della sua carriera, facendolo salire al quinto posto all-time alle spalle di Wilt Chamberlain (118, inarrivabile), Michael Jordan (31), Kobe Bryant (25) ed Elgin Baylor (17). In stagione invece è la ventitreesima volta oltre quota 40, il terzo miglior bottino nella singola stagione degli ultimi 50 anni alle spalle dei soli Jordan del 1986/1987 (che ne raccolse 37) e Bryant 2005/2006 (con 27 totali). Harden però ha ancora a disposizione 20 partite per ritoccare le sue cifre e soprattutto per dimostrare a Houston di non poter fare a meno di lui: auguri a chi dovrà cercare di limitarlo. Fatta la lunga e doverosa premessa sulle cifre da record del “Barba”, resta comunque da raccontare il resto del match. Harden infatti è stato costretto a rimboccarsi le maniche a causa delle diverse assenze in casa Houston, che a Charlotte poteva disporre per la prima volta di tutto il roster e a 24 ore di distanza è stata costretta a rinunciare a Kenneth Faried, Eric Gordon e Iman Shumpert. A quel punto, per non rendere troppo corta la rotazione delle guardie in uscita dalla panchina, Mike D’Antoni ha deciso di lanciare in quintetto Gary Clark, alla prima da titolare in carriera (dopo aver giocato al massimo due minuti nelle ultime 14) e autore di 14 punti (career-high). Oltre agli infortunati, i texani si sono ritrovati a dover fare a meno anche di PJ Tucker negli ultimi 20 minuti scarsi di partita, dato che è stato allontanato con un doppio-tecnico dopo le plateali proteste nei confronti degli arbitri (a nulla sono serviti i richiami dei compagni, che di forza hanno provato invano a trascinarlo via). Tante difficoltà che non hanno impedito a Houston di raccogliere il quarto successo in fila, condannando Miami alla sconfitta 24 ore dopo aver gustato il momento più iconico dell’anno con il canestro di Wade sulla sirena contro Golden State. Per il numero 3 degli Heat è stata l’ultima partita in carriera a Houston, con 12 punti in uscita dalla panchina; meglio di lui Goran Dragic con 21 a gara in corso, salutato dai tifosi avversari durante il primo timeout e dall’amico Chris Paul a fine gara. Una sfida terminata con il rammarico di aver sfiorato un successo importante, meritato nella prima mezz’ora (37-22 di parziale nel secondo quarto) e poi sfuggito a causa della prestazione di Harden. Anche questa volta Wade ha avuto tra le mani il pallone e i tre punti del possibile pareggio: stavolta il suo tentativo si è fermato soltanto sul ferro.
I Rockets questa sera hanno tirato col 49% dal campo, includendo un 19 su 46 dal perimetro. Hanno commesso 16 palle perse, che hanno condotto a 27 punti dei Miami Heat. Prossima partita: domenica sera, al TD Garden di Boston.
Ottima serata al tiro anche per i Miami Heat, che terminano col 52% dal campo e un fantastico 15 su 28 dall’arco. Da evidenziare anche la prestazione di Kelly Olynyk, che eguaglia i 21 punti di Goran Dragic. Prossima partita: domenica notte, in casa contro i Brooklyn Nets.

Golden State Warriors-Orlando Magic 96-103

Perdere in trasferta, in back-to-back, dopo la delusione del canestro subito sulla sirena, rinunciando all’MVP delle ultime due finali NBA e contro una squadra certamente più motivata in quest’ultima parte di regular season, sarebbe un risultato da poter mettere in conto. Quasi prevedibile, se sulla maglia degli sconfitti non ci fosse scritto Golden State Warriors, condannati a vincere sempre e comunque. Anche quando è evidente che gli uomini di Steve Kerr non siano decisamente concentrati durante questo spezzone di stagione, nonostante la repentina risalita dei Denver Nuggets alle loro spalle a caccia della vetta a Ovest. I bi-campioni in carica lasciano a riposo Kevin Durant, sempre presente in questa regular season e lanciano Alfonzo McKinnie in quintetto (presenza dal relativo impatto, come immaginabile). A segnare come al solito canestri dall’arco e non solo ci pensano Steph Curry e Klay Thompson: 33 punti con 5 triple (su 17 tuttavia tentate), 8 rimbalzi e 6 assist il primo, 21 totali in una serata non felicissima al tiro il secondo. DeMarcus Cousins ne aggiunge 21 con 11 rimbalzi, protagonista assieme a tutto il quintetto e in particolare a Curry del parziale da 30-11 che nel terzo periodo sembra indirizzare la sfida (81-70). Golden State alza però troppo presto le mani dal manubrio, smettendo letteralmente di giocare e difendere, concedendo a Gordon (22 e 15 rimbalzi), Ross (16 punti in uscita dalla panchina) e a tutti gli altri di segnarne 33 totali nell’ultima frazione e vincere l’ennesima partita impronosticabile della settimana di Orlando. I Magic confermano di essere una squadra in continua altalena: in grado di battere i migliori e di perdere a poche ore di distanza una sfida da vincere a ogni costo: così contro Toronto e Golden State arrivano due vittorie, contro Chicago e New York due sconfitte. Col 50% di successi si potrebbero conquistare lo stesso i playoff a Est, questa è la buona notizia.
I Magic rompono una streak negativa di undici sconfitte consecutive subite dai Warriors: l’ultima loro vittoria risaliva al lontano 14 dicembre 2012. Isaiah Briscoe, ritornato questa notte dopo due partite saltate a causa di una commozione cerebrale, ha messo a referto 8 punti e 9 rimbalzi. La panchina di Orlando ha “outscorato” quella di Golden State per 12-35. Prossima partita: domenica notte, alla Bankers Life Fieldhouse di Indianapolis.
I Warriors hanno marciato con un pessimo 22.5% dall’arco (9 su 40) e un altrettanto pessimo 7 su 23 nell’ultimo decisivo quarto. Prima volta, dal 2 marzo 2013, che i Warriors perdono entrambe le partite in un back-to-back contro squadre dell’Est. Prossima partita: domenica notte, al Wells Fargo Center di Philadelphia.

Utah Jazz-Denver Nuggets 111-104

Anche in una stagione lunghissima da 82 partite, ci sono vittorie che hanno un’importanza e un significato particolare. Nel caso degli Utah Jazz, questa vittoria sul campo dei Denver Nuggets è una di quelle descritte: in back-to-back, arrivando da Salt Lake City dopo il successo sui Clippers e contro la squadra con il miglior record casalingo di tutta l’NBA (27 vittorie e 4 sconfitte). La squadra di coach Quin Snyder (peraltro priva di tre guardie: Ricky Rubio, Dante Exum e Raul Neto) ha vinto in maniera convincente controllando dall’inizio alla fine. Merito del solito sforzo di squadra guidato dai 24 punti con 8 rimbalzi e 5 assist di Donovan Mitchell, dai 16+8 di Rudy Gobert e dai 15 a testa di Joe Ingles (autore anche di 10 assist) e Derrick Favors (con 11 rimbalzi). Non bisogna omettere il contributo preziosissimo dalla panchina di Kyle Korver, autore di 22 punti in 22 minuti con 6 su 10 dalla lunga distanza. Al resto ci ha pensato la solita magistrale difesa, capace di tenere un attacco come quello dei Nuggets al 40% dal campo e al 28% da tre punti. In casa Nuggets bisogna rammaricarsi per l’occasione persa: con la sconfitta di Golden State (43-19) a Orlando, gli uomini di coach Mike Malone avrebbero potuto sopravanzare i campioni in carica riprendendosi la vetta della Western Conference, ma si devono accontentare di rimanere a mezza partita di distanza (42-19). I migliori sono Will Barton e Jamal Murray con 21 punti a testa, mentre Nikola Jokic, frenato dai falli, non è andato oltre 16 punti (5 su 15 al tiro), 13 rimbalzi e 7 assist con 5 palle perse. Anche la panchina non ha dato il contributo atteso, con Isaiah Thomas che ha chiuso con il peggior plus-minus di squadra (-10) in appena 11 minuti chiusi con quattro punti a referto.
Con questa vittoria i Jazz mettono spazio tra loro (35-26) ed il nono seed dei Kings (31-30), che sembra oramai irraggiungibile. Possono tentare di raggiungere il quinto seed dei Rockets (37-25), al fine di evitare plausibilmente al primo turno dei playoff OKC (tuttavia battuta, ricordiamo, l’anno scorso). Prossima partita: domenica notte, in casa contro i Milwaukee Bucks.
Si tratta della prima sconfitta al Pepsi Center dei Nuggets dal 16 gennaio scorso. Trey Lyles ha saltato la sua quarta gara consecutiva a causa del problema al tendine del ginocchio sinistro. Sono state dieci le triple sbagliate ad inizio partita, prima che Murray sbloccasse la situazione nel secondo quarto. Prossima partita: domenica notte, in casa contro i Denver Nuggets.

Philadelphia 76ers-Oklahoma City Thunder 108-104

La maledizione finalmente è stata spezzata: per trovare l’ultima vittoria dei Philadelphia 76ers ai danni degli Oklahoma City Thunder bisognava risalire addirittura al 15 novembre 2008, ovvero la prima partita disputata dalla franchigia di OKC con la nuova denominazione alla Chesapeake Arena. Da lì in poi una striscia di 19 sconfitte consecutive per i Sixers, di cui ben quattro finite al supplementare e una dopo tre overtime il 15 dicembre 2017. Tutto ciò fino a questa notte: grazie ai 32 punti di Tobias Harris e alla nona tripla-doppia stagionale di Ben Simmons (11 punti, 13 rimbalzi, 11 assist), la squadra di coach Brett Brown è riuscita ad espugnare il campo dei Thunder nonostante l’assenza di Joel Embiid. Non che ai Thunder sia andata molto meglio, visto che erano privi di Paul George, infortunatosi alla spalla nella partita contro Denver. Senza il proprio partner in crime, Russell Westbrook ha chiuso in tripla-doppia (la numero 25 in stagione) con 23 punti, 11 rimbalzi e 11 assist, ma non è non sono riuscito a cancellare del tutto il suo 8 su 24 al tiro, in una partita in cui OKC è stata avanti nel punteggio solamente nelle battute iniziali, finendo sotto anche di 16 lunghezze (48-32 a 8:15 dall’intervallo) prima di provare una rimonta disperata nell’ultima frazione, propiziata anche dai 23 punti dell’ex Jerami Grant. Alla fine i Sixers sono riusciti a mantenere il vantaggio accumulato soprattutto nel primo tempo (60-49), grazie a un quintetto tutto in doppia cifra: 20 punti con 8 rimbalzi e 8 assist per Jimmy Butler, 14 per Jonah Bolden e 12 per JJ Redick, impreciso al tiro (3 su 13 dal campo e 2 su 9 da tre) ma glaciale nel realizzare i due liberi della staffa a pochi secondi dalla fine.
Con questo successo Philadelphia (40-22) rimane a mezza partita di distanza dal terzo posto degli Indiana Pacers (41-22). I Sixers hanno realizzato 42 canestri, di cui ben 33 assistiti. Prossima partita: domenica notte, in casa contro i Golden State Warriors.
Terza sconfitta consecutiva invece per i Thunder. Markieff Morris, free-agent e Thunder da quattro partite, ha terminato con 17 punti a referto in soli 19 minuti. Continua la striscia nera di Russell Westbrook dal perimetro: entrato in questa partita col 27% da tre, ha terminato con 1 su 9. Prossima partita: domenica notte, all’AT&T Center di San Antonio.

Altre dai campi

Si confermano in uno stato più che buono gli Indiana Pacers, che colgono la quarantunesima vittoria stagionale contro i Minnesota T’Wolves: il punteggio finale è di 115-122 e non bastano agli ospiti i 42 punti e 17 rimbalzi di un sontuoso Karl-Anthony Towns. Va vicino al career-high, ma con vittoriosa soddisfazione, Bojan Bogdanovic, trascinatore dei Pacers con 37 punti.
Al Madison Square Garden, invece, i New York Knickscrollano nell’ultimo periodo dopo aver costruito 12 punti di vantaggio nei precedenti tre (85-97) e vengono sconfitti per 125-118 dai Cleveland Cavaliers. Kevin Love, con 28 punti, è il principale contributore del successo dei Cavs, assistito da Collin Sexton e Jordan Clarkson, entrambi a quota 22. Ai Knicks non bastano i sette uomini in doppia cifra e Allonzo Trier che raggiunge 22 punti.

Tutti i risultati di venerdì 1 marzo

Miami Heat-Houston Rockets 118-121
Golden State Warriors-Orlando Magic 96-103
Utah Jazz-Denver Nuggets 111-104
Philadelphia 76ers-Oklahoma City Thunder 108-104
Minnesota T’Wolves-Indiana Pacers 115-122
Cleveland Cavs-New York Knicks 125-118

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