Amarcord

L’angolo del ricordo: un James Harden da record sotterra gli Spurs, career-high da 61 punti

James Harden - Houston Rockets - Official Facebook Page

E’ accaduto esattamente un anno fa, il 22 marzo 2019. James Harden sta vivendo la sua prima regular season da MVP regnante, dopo una stagione passata da 30.4 ppg, 5.4 rpg e 8.8 apg: il Barba era diventato il terzo giocatore della storia degli Houston Rockets a ottenere questo riconoscimento e il quarto giocatore della storia della NBA a mettere 30 punti di media in una squadra da 65 vittorie. E’ stato toccato il limite? Non esattamente.

L’anno successivo paradossalmente il losangelino ha compiuto un ulteriore step per consacrare il suo status di fuoriclasse a tutto tondo, capace di ammazzare le difese avversarie con i suoi stepback mortiferi, i crossover ubriacanti e la capacità di mettersi in ritmo in qualsiasi momento e posizione, ma è pur vero che ha anche dimostrato anche di essere un gran difensore, in grado di marcare avversari più forti e possenti fisicamente, soprattutto in post. I numeri raccontano 36.1 ppg, 6.6 rpg e 7.5 apg, ma raccontano anche di una race per l’MVP persa in favore di Giannis Antetokounmpo: un greco che ha visto la sua leadership e il suo predominio fisico, utili per portare i Bucks al primo seed dopo 45 anni, surclassare la settima stagione all-time per media punti del giocatore dei Rockets (preceduta da 5 stagioni di Wilt Chamberlain e da una di Micheal Jordan).

MVP o meno, nella regular season 2018/2019 c’è un “defining moment” per il Barba, ossia il career-high da 61 punti fatto segnare in casa contro i San Antonio Spurs: 61 punti che pareggiano quelli fatti registrare il 24 gennaio dello stesso anno al Madison Square Garden contro i Knicks, grazie soprattutto a una palla persa dei newyorkesi a cinque secondi dalla fine. Harden è reduce dai 57 punti fatti segnare contro i Grizzlies, mentre quella del Toyota Center è invece una prestazione da 19 su 34 dal campo, 9 su 13 dall’arco e 14 su 17 dalla lunetta, condita da 7 rimbalzi e 3 rubate. Sono due tuttavia i momenti in cui il Barba si è letteralmente incendiato: il primo è nel primo quarto, dove ha siglato il season-high da 27 punti; il secondo è invece nel momento decisivo della partita quando, con 3:57 dalla fine e con gli Spurs in vantaggio 94-100, ha siglato tutti e 13 i successivi punti dei Rockets.

Questa partita ha sancito l’inclusione del suo nome all’interno di un’élite paradisiaca: soltanto Wilt Chamberlain, Michael Jordan, e Kobe Bryant avevano avuto prima di questa partita delle stagioni con almeno due partite da oltre 60 punti a referto. Per il numero 13 è stata l’ottava partita in quella stagione con almeno 50 punti: il resto della lega ne ha avute solo 10 combinate. In più, come se non bastasse, è stata la sesta partita in quel 2018/2019 con almeno 57 punti: un numero pauroso se si conta che LeBron James ne ha avute solo 2 in carriera, così come Allen Iverson e Carmelo Anthony, senza dimenticare Larry Bird (1), Shaquille O’Neal (1), Jerry West (1), Oscar Robertson (1), Kevin Durant (0) e Steph Curry (0).

Nulla tuttavia definisce ciò che ha fatto quella notte come le parole di Mike D’Antoni, allenatore dei Rockets: “Chiunque fosse al palazzetto oggi ha visto qualcosa che non ha mai visto prima: non credo se si possa fare meglio. Alcuni dei tiri che ha segnato stasera sono davvero impressionanti. Ho visto tanta pallacanestro nella mia vita, ho giocato contro tanti giocatori, ma il suo talento è davvero qualcosa che non ho mai visto. Le uniche persone che potrebbero fermarlo sono gli allenatori e gli arbitri: il primi se lo rimuovono dal campo, i secondi se lo cacciano causa sesto fallo. Non ha davvero debolezze”. Parole dolcissime per un giocatore che quella stagione verrà fermato nuovamente ai playoffs dai Golden State Warriors, giustificando una carriera in postseason non eccelsa: se si parla tuttavia di regular season, il Barba ha davvero pochi eguali nella storia del gioco.

 

 

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