Amarcord

L’angolo del ricordo: Rick Barry, l’arroganza che tirava i liberi “al contrario”

Rick Barry
Rick Barry

28 marzo 1944, nasce a Elizabeth (New Jersey) Rick Barry. Un campione, un arrogante, uno che voleva distanziarsi dalla massa: un individuo così fuori controllo che, all’interno della sua biografia, ha addirittura ammesso di avere colpito con un pugno una suora. Robert Parish, il leggendario 00 dei Boston Celtics, ha detto di lui: “Ha la brutta abitudine di guardare tutti dall’alto verso il basso, è totalmente privo di diplomazia”. Un giocatore che si è discostato dal concetto di giusto e dal concetto di sbagliato e che ha sempre adottato una terza via per fare qualsiasi cosa: la sua, riprendendo una citazione del celebre film Casinò, diretto nel 1995 da Martin Scorsese.

Il concetto di terza via è macroscopicamente visibile in un concetto più degli altri: i tiri liberi. Esistono modi giusti per segnare dalla lunetta (chiedere a Stephen Curry, Steve Nash, Mark Price e Peja Stojakovic), modi sbagliati (citofonare Ben Wallace, Shaquille O’Neal o Dennis Rodman) ed esiste, poi, la maniera di Rick: tirare dal basso, l’underhanded free throw. Si tratta di una tecnica poco ortodossa e tante volte presa di mira ma spesso fruttifera: Barry usando questo stratagemma arrivò a sfiorare una favolosa percentuale in carriera del 95% di realizzazione. Barry tuttavia non era solo precisione dalla lunetta, ma anche talento: ne ha avuto abbastanza da essere inserito nell’elenco dei 50 più grandi giocatori di tutti i tempi, premiato insieme ad altre 46 leggende del parquet nella notte dell’All-Star Game del 1997 a Cleveland. Per ampliare il concetto, esiste un solo giocatore nella storia della pallacanestro ad essere stato top scorer nella NCAA, nella NBA e persino nella ABA: lui.

La sua esplosione all’University of Miami gli valse la chiamata al primo giro del draft da parte dei San Francisco Warriors, letteralmente trascinati nell’anno da sophomore alle Finals NBA 1967 contro i Sixers di Wilt Chamberlain, dove, nonostante la sconfitta, viaggiò ad oltre 40 punti di media. Un annata in cui Barry è stato capace di interrompere la striscia di sette campionati consecutivi in cui Chamberlain era stato capocannoniere della lega, segnando 35.6 punti di media. Erano gli anni dell’accesa rivalità tra la NBA e la ABA (American Basketball Association) che scelse proprio Barry come uomo perfetto per rappresentarla. Pat Boone, il proprietario degli Oakland Oaks, squadra che giocava le proprie partite casalinghe sull’altra riva della Baia, riuscì a convincere il giovane Rick a trasferirsi nella neonata lega ricoprendolo letteralmente di oro. Furono anni meravigliosi ed al contempo maledetti: Barry vinse subito il titolo di miglior realizzatore (ad oltre 34 punti di media) e gli Oaks si laurearono campioni superando gli Indiana Pacers 4-1 in finale.

La mancanza di un contratto televisivo e le continue perdite finanziarie portarono però ben presto la lega a trasformarsi in una sorta di circuito indipendente. Gli Oaks con grande disappunto di Barry si trasferirono prima a Washington (“Se avessi voluto andare a Washington mi sarei candidato per la presidenza degli Stati Uniti!”) e successivamente in Virginia. Dopo un altro anno in ABA con la maglia dei New York Nets, il ritorno in NBA, ancora con gli Warriors, oramai diventati Golden State, con i quali conquistò un altro titolo contro i Baltimore Bullets di Elvin Hayes e Wes Unseld. Altri due anni nella baia prima dell’ultimo trasferimento in Texas, dove con la maglia degli Houston Rockets, per non sbagliare, chiuse la propria stagione segnando 160 dei 169 tiri liberi tentati, tutti, rigorosamente, tirati non nel modo giusto, non in quello sbagliato, ma alla sua maniera: la sublimazione del concetto di genio e sregolatezza.

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